mercoledì 25 ottobre 2017

Antonio Manzini: 7-7-2007 / 5



«United united united we stand, united we never shall fall!». Rocco saltò sul letto.
«Ancora?» si alzò e si precipitò fuori casa con la canzone dei Judas Priest che risuonava nella tromba delle scale. Bussò alla porta del vicino. La musica era ad un volume talmente forte che non si sentiva il suono del campanello.
«So keep it up, don’t give in...».
Bussò coi pugni, con tutta la forza che aveva in corpo. Una neve di stucco cadde sullo zerbino. Finalmente la musica si azzittì. La porta si aprì e apparve Gabriele, il sedicenne brufoloso con una maglietta dei Motörhead di due taglie più grande.
«Che c’è?».
«Ancora co’ ’sta storia? Mi hai svegliato. Lo sai che ore sono?».
«Le undici e un quarto».
Rocco rimase in silenzio. Guardò la finestra delle scale. C’era il sole. Non ci aveva fatto caso.
«Ah. Le undici e un quarto?».
«Sì» fece Gabriele reprimendo un sorriso. «Ora anche qualche secondo in più».
«Fai lo spiritoso?».
«No, era per la precisione».
Rocco si allontanò. «Be’, comunque, non si ascolta la musica a questo volume, neanche alle undici e un quarto».
«Ma a quest’ora non c’è mai nessuno. Pensavo che era andato a lavorare».
Il vicequestore realizzò che il suo non era stato un sonno normale, era stato un coma lungo dodici ore. Si passò la mano nei capelli. Si rese conto di essere in boxer a piedi nudi sulle scale a parlare con un ragazzino di 16 anni. «Allora... vado a fare colazione...» e si girò.
«La faccia con me. Stavo preparando il caffè».

Rocco pensò che nella dispensa non c’era neanche un biscotto. «Dici?».
«Perché no? Sono solo».
Era una casa ordinata, pulita, mobili moderni e asettici. Le pareti bianche, senza quadri, nessuna libreria se non uno scaffale con tomi universitari. A terra c’era un parquet dipinto di nero e un televisore gigantesco troneggiava in un angolo davanti a due divani di pelle bianchi. Il camino era un ovulo sospeso nell’aria, sembrava il pistillo di un fiore d’acciaio.
«Venga, andiamo in cucina. Le piacciono i Choco’s?».
«I che?» avanzava a passo incerto nella casa. Si sentiva un deficiente in mutande ospite di un adolescente.
«I Choco’s. I cereali al cioccolato».
«No. Mi fa schifo quella roba. E non la dovresti mangiare neanche tu. Hai la faccia devastata dai brufoli!».
«Vero, ma mi piacciono da matti. Quando avrò la sua età mi preoccuperò della nutrizione. Per ora birra Choco’s e rock’n roll!».
La cucina era ancora più pulita del salone. Anche lì dominava il bianco e una serie di elettrodomestici moderni di alluminio schierata sul piano lavoro. «Ma perché, secondo te quanti anni ho?».
«Boh... a guardarla così direi... una sessantina?».
«Tua madre ne ha una sessantina!».
«Mia madre ne ha 42».
«E io ancora ne devo fa’ cinquanta».
Il ragazzo fece una smorfia. «Se dici che li porto male ti spacco lo stereo».
Gabriele premette il bottone della macchina del caffè che si riversò nella tazzina. «Tenga. Che cosa vuole mangiare?».
«Boh... che hai a parte i Choco’s?».
L’ospite aprì una credenza sopra il frigo. «Vediamo... magari le piace quello che prende mamma? Qui vedo della roba ai cinque cereali, barrette della salute, poi ci sono dei biscotti di soia. Vanno bene?».
«E portami i biscotti di soia». Si sedette al tavolo. Le tende erano ricamate, sul frigorifero una ventina di magneti. «Ecco i biscotti». Il ragazzo si sistemò di fronte a lui. Prese il latte lo versò nella tazza e ci mise dentro i Choco’s. Rocco afferrò un biscotto, senza riuscire a staccare gli occhi da Gabriele che s’era avventato sulla colazione. Prendeva enormi cucchiaiate di cereali che grondavano latte e se li infilava in bocca masticando rumorosamente. «Fai schifo» gli disse. «Sembri un maiale».
Quello sorrise neanche gli avesse fatto un complimento. Aveva il mento umido. «Com’è il biscotto?».
«Sa di polistirolo» e bevve il caffè. «Ma se tua madre rientra e mi trova in mutande in casa sua che dovrebbe pensare?».
«Non rientra. Sta fuori fino a stasera. Lavora sempre».
«Ma tu a scuola?».
«È chiusa da una settimana. E poi che ci vado a fare? Tanto l’anno l’ho perso».
«Che classe fai?».
«Il quinto ginnasio».
«E quanti anni hai?».
«Sedici».
«Hai già perso un anno?».
«Sì».
«Sei un deficiente?».
«Così dicono».
Rocco finì il caffè. «Ce l’hai una fidanzata?».
«Vuole scherzare? Mi ha visto? Ma chi mi prende?» e scoppiò a ridere mostrando la bocca piena di cereali triturati.
«E chiudi la fogna! Come ti chiami che me lo sono scordato?».
«Gabriele. Mi chiamo Gabriele».
«Gabriele, è di oggi questo?» fece il vicequestore allungando la mano sulla sedia accanto dove c’era appoggiato un quotidiano.
«Sì, siamo abbonati, ce lo portano ogni mattina».
Rocco si mise a sfogliarlo. «Perché senti quella canzone dei Judas Priest?».
«Mi fa venire la pelle d’oca. E la canto come se fosse dal vivo».
«I Judas Priest so’ burini. Come i Mötorhead» e indicò la maglietta.
«I Mötorhead sono leggenda!» rispose Gabriele e si alzò per mettere la tazza nel lavello. «Però visto che lei ha una certa età...».
«Ti spacco la faccia...» e voltò pagina.
«Ora le vado a mettere una cosa che forse le piace... aspetti qui!» e sparì dalla cucina.
«Se metti i Saxon sei un bambino grasso e morto!» gli urlò dietro.
«No, molto più soft...».
La riconobbe dai primi due accordi. Changes di David Bowie. Sorrise felice. Già la stava fischiettando quando Gabriele entrò in cucina scivolando sulle ginocchia brandendo in mano lo spazzolone del cesso come fosse un microfono.
«I still don’t know what I was waiting for, and my time was running wild, a million dead-end streets and...».
Rocco lo guardava. Cantava a squarciagola, ispirato, con gli occhi chiusi.
«Of how the others must see the faker, I’m much too fast to take that test, forza, canti!».
Rocco sorrise abbassando appena il giornale.
«Ch-ch-ch-changes turn and face the stranger, ch-ch-changes! don’t want to be a richer man».
Rocco aprì la bocca e si ritrovò a cantare col metallaro impazzito.
«Ch-ch-changes, turn and face the stranger, ch-ch-changes just have to be a different man!».
«Vabbè, abbassa».
«Time may change me!».
«Abbassa Gabriele!».
Sempre ispirato il ragazzo sgambettò in salone, abbassò il volume e tornò in cucina. Aveva il fiatone.
«Devi fare un po’ di attività fisica, hai il fiatone per aver cantato mezza canzone!».
«Ho fatto pure la scivolata».
Rocco riprese a leggere il giornale. «Ma tu fai sempre ’sti concertini a casa?».
«Ogni tanto...».
«Orca!» fece Rocco.

L’ASSASSINO DI RUE PIAVE HA UN NOME
L’assassino che il 13 maggio ha ucciso Adele Talamonti in casa del vicequestore Schiavone in rue Piave ha finalmente un nome e un cognome…..

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