da: Il Fatto Quotidiano
“La controffensiva è un successo, dimostra che Usa e Gran Bretagna hanno messo in piedi una forza armata simile a una potenza vera”
Raggiungiamo Lucio Caracciolo quando ha appena chiuso il nuovo numero di Limes, la rivista di cui è fondatore e direttore, e che avrà come titolo Il mare italiano e la guerra. Il volume uscirà sabato prossimo e il 18 e 19 settembre sarà presentato in un convegno internazionale a Trieste.
L’occasione è dunque propizia per fare un giro di orizzonte sulla guerra, alla luce della controffensiva ucraina e per capire come, attorno a questo dato nuovo, si stanno posizionando gli attori globali, Stati Uniti in testa. Ma anche come interpretare l’evento su cui si accenderanno i riflettori a partire da oggi: a Samarcanda, infatti, prende il via il vertice della Shanghai Cooperation Organization (Sco) che racchiude la maggior parte dei Paesi asiatici e dell’Est del mondo e a cui proprio ieri l’Iran ha proposto di stringere un nuovo accordo multilaterale.
Partiamo dal campo ucraino e dai recenti successi di Kiev: come li giudica e che effetti avranno?
La controffensiva ucraina è stata indubbiamente un grande successo, che dimostra che in questi mesi Stati Uniti e Gran Bretagna sono riusciti a mettere in piedi un esercito, una forza armata ucraina che assomiglia a una potenza vera. Ma questo ci dice anche che si tratta di una guerra indiretta tra la Russia e gli Usa: Mosca pensa di combattere contro Kiev, ma si trova a combattere contro Washington.
Ne deduco che non è tanto il nostro invio di armi a fare la differenza, ma la volontà militare angloamericana…
È grazie al supporto americano che l’Ucraina agisce con un senso di unità nazionale, che era rimasto piuttosto vago negli ultimi anni e che verrà coltivato finché c’è la guerra. Uno dei motivi per cui Zelensky non vuole negoziare è che lui stesso verrebbe messo in discussione. L’Ucraina comincia a pensare di essere padrona del proprio destino.
Negli Stati Uniti però si notano messaggi controversi: soddisfazione per le vittorie sul campo, ma anche timori per una possibile nuova escalation.
Gli Stati Uniti non vogliono che la Russia crolli, ma ovviamente nemmeno che la guerra finisca tra gli allori e i richiami alla grandiosità russa. Washington sta cerando un equilibrio, tra la necessità di dissanguare la Russia senza farla crollare e quindi ha bisogno di stabilire un limite, una misura all’euforia che sembra contagiare Kiev e che potrebbe portare l’Ucraina a fare un passo un po’ più lungo delle sue reali possibilità.
L’Amministrazione Biden le sembra compatta?
E come potrebbe con un leader così poco autorevole. Essendo una struttura molto grande per definizione, l’Amministrazione ha diverse anime: c’è quella che spingerebbe fino in fondo il pedale, ma è minoritaria, mentre il Pentagono e i Servizi segreti puntano a bloccare i russi, ma senza che la guerra travalichi in uno scontro frontale.
Dalle dichiarazioni pubbliche non sembra che Joe Biden e Antony Blinken, il Segretario di Stato, abbiano la stessa linea…
Non credo onestamente che Biden abbia una linea. Se mettiamo in fila tutte le sue dichiarazioni, si nota l’estrema ambivalenza. Blinken non rappresenta certamente l’ala moderata e vorrebbe rischiare un po’ di più. Ma il punto è che quando hai armato un soggetto come quello ucraino, che non punta solo a difendersi, ma che è anche deciso a dare una lezione ai russi, non sei più tu necessariamente quello che decide cosa faranno gli ucraini. E infatti gli Usa si lamentano spesso delle decisioni di Kiev.
In una fase di impasse russa vede crescere il rischio di un ricorso ad armi nucleari, sia pure solo tattiche?
In questo momento, paradossalmente, è meno probabile di prima, perché sarebbe il segno che Putin è disperato e non credo che voglia dare questo segnale.
L’Europa non ha mai brillato per una iniziativa autonoma efficace, ma non pensa che negli ultimi mesi sia più paralizzata del solito?
Occorre intendersi sul termine “Europa”, perché in realtà dovremmo discutere soprattutto di sistema euro-atlantico. Se però per Europa intendiamo fondamentalmente la Germania, allora la risposta è sì: la Germania è un Paese in grave sofferenza politica, economica e anche culturale. Un Paese che energeticamente è dipendente dalla Russia, che ha investito molto sul rapporto con la Cina e che oggi vede, se non crollare, quanto meno mettere in profonda discussione questi due pilastri. In più occorre tener conto dell’inflazione, che per i tedeschi è un “mostro” terribile. E, infine, c’è la realtà di un governo, quello del cancelliere Scholz, che è piuttosto debole, per cui la Germania che poteva essere considerata la leader in Europa, oggi non è in grado di dare una linea. E questo si traduce in un comportamento finalizzato soprattutto a badare ai propri interessi, con un forte ripiegamento.
Oggi si apre a Samarcanda lo Sco, un vertice alternativo all’Ovest, con un ruolo evidente di Russia e Cina. Non si sta forse sottovalutando questo processo a Ovest?
Direi che al momento non si intravede una effettiva alleanza e convergenza tra questi Paesi al di là di convergenze immediate e quotidiane che si basano soprattutto sull’intesa russo-cinese e sulla disponibilità dei Paesi dell’Asia Centrale a immaginare una loro maggiore iniziativa e una crescente indipendenza dall’influenza Usa. Però non si tratta di un blocco compatto, insomma non è il nuovo Patto di Varsavia.
Quanto pesa il ruolo di questa Cina, che sembra voler mantenere quanto più possibile le mani libere?
La
Cina sta alla finestra, non condanna l’operazione russa, ma cerca di capire
cosa succederà realmente in Russia, soprattutto se possa o meno verificarsi una
crisi di leadership.
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