20
anni per (non) sistemare un ponte, 20 minuti per trovare un colpevole: eccolo
qua, il problema dell’Italia
Pochi
minuti dopo la tragedia del Ponte Morandi di Genova e già era partita la caccia
al capro espiatorio. Ma i ritardi e le negligenze del sistema infrastrutturale
italiano riguardano tutti, nessuno escluso. E dovremmo fare i conti con questo,
non cercare capri espiatori che paghino per tutti
di Francesco
Cancellato
Neanche quarantott’ore dalla tragedia del
Ponte Morandi di Genova e abbiamo già un colpevole, cui addossare tutta la
responsabilità dell’accaduto: si tratta di Autostrade per l’Italia, cui il
ministro alle infrastrutture Danilo Toninelli, i vicepremier Matteo Salvini e
Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte hanno già promesso la revoca della
concessione autostradale e una multa da 150 milioni di euro. Così, senza che
non sia conclusa, forse nemmeno iniziata, una straccio di indagine, né emesso
mezzo avviso di garanzia, perché «ad Autostrade paghiamo i pedaggi più alti
d’Europa e loro pagano tasse bassissime», dice Di Maio. Cosa che, ne
converrete, non c’entra nulla con quanto accaduto al Ponte Morandi, ma pare
faccia guadagnare un sacco di like su Facebook.
E pazienza, pure, che la revoca delle
concessioni non arriverà mai, perché a quanto pare Autostrade per l’Italia
incasserebbe una penale di venti miliardi di euro, che non abbiamo neanche per
sbaglio. L’importante, oggi, era trovare
il colpevole da offrire in pasto
all’opinione pubblica per i rituali due minuti d’odio quotidiano. Prima di
Autostrade e del suo amministratore delegato Giovanni Castellucci era stato il
turno dell’Europa cattiva (Salvini), dei richiedenti asilo (Santanché), dei
camionisti polacchi (Milena Gabanelli), del comitato No Gronda e dei Cinque
Stelle che lo sostenevano, Beppe Grillo compreso (il Pd), di Graziano Delrio,
il ministro che c’era prima, e di Danilo Toninelli, il ministro che c’era da
poco più di cinquanta giorni.
Potremmo passare il resto dell’articolo a
fare gli avvocati difensori in ognuno di questi processi sommari, e non sarebbe
nemmeno troppo difficile. Il punto però è un altro: il punto è che non ha senso
anche solo avere bisogno di trovare un colpevole, un capro espiatorio, mentre
ancora i pompieri stanno estraendo morti e feriti dalle macerie. Non ha senso
perché non risolve nulla e non affronta il cuore del problema: perché si sa da
anni che il Ponte Morandi è pericoloso - Giovanni Calvini, ex presidente degli
industriali di Genova, nel dicembre 2012, disse che quel ponte sarebbe crollato
entro dieci anni - , ma è da anni, se non da decenni che nessuno si è preso la
briga di ristrutturare o di sostituire quel “fallimento dell’ingegneria”, come
disse due anni fa il professor Antonio Brencich nella sua profetica intervista
a Primo Canale del 2016.
Lo stesso peraltro, potremmo dirlo dei
cinque ponti crollati negli ultimi cinque anni, o del tetto dell’Istituto
Tecnico Montani di Fermo, crollato lo scorso maggio, senza vittime per un caso
del destino, tanto per fare qualche esempio, o di tutte le micro o macro
manutenzioni straordinarie che questo Paese procrastina sempre al prossimo
anno. O potremmo dirlo per le 647 opere incompiute che punteggiano la Penisola
da un trentennio, chissà quante delle quali potrebbero evitare crolli e
tragedie in futuro. O della totale indifferenza pubblica e privata per il
rischio sismico e idrogeologico in un Paese in cui ci sono stati più di 400
terremoti distruttivi negli ultimi cento anni. Cambiano gli attori, gli schieramenti
politici, i referenti tecnici, le aziende coinvolte, ma non cambiano mai
negligenze, ritardi, faciloneria, lentezze burocratiche, lavori fatti male,
manager incompetenti, un’autobiografia della nazione di cui tutti, nessuno
escluso, dovremmo prenderci un pezzo di responsabilità.
Perché un Paese serio ci metterebbe due
mesi a ricostruire un ponte, e due anni a trovare un colpevole, mentre in
Italia avviene esattamente il contrario. Perché se noi stessi contribuiamo a
generare questo rituale catartico contro il capro espiatorio di turno, anziché
pretendere tempi certi per la realizzazione delle opere, una burocrazia più
snella, investimenti più semplici, appalti che prescindano dal criterio del
massimo ribasso, gare europee per l’assegnazione delle concessioni, siamo parte
del problema, non della soluzione. E non c'è nulla che ci potrà assolvere,
nemmeno Toninelli, o Salvini, o Di Maio, né il capro espiatorio che ci
offriranno in dono.
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