sabato 25 agosto 2018

Crollo del ponte Morandi, nel paese reale: 20 anni per non sistemare, 20 minuti per trovare un colpevole






20 anni per (non) sistemare un ponte, 20 minuti per trovare un colpevole: eccolo qua, il problema dell’Italia
Pochi minuti dopo la tragedia del Ponte Morandi di Genova e già era partita la caccia al capro espiatorio. Ma i ritardi e le negligenze del sistema infrastrutturale italiano riguardano tutti, nessuno escluso. E dovremmo fare i conti con questo, non cercare capri espiatori che paghino per tutti
di Francesco Cancellato

Neanche quarantott’ore dalla tragedia del Ponte Morandi di Genova e abbiamo già un colpevole, cui addossare tutta la responsabilità dell’accaduto: si tratta di Autostrade per l’Italia, cui il ministro alle infrastrutture Danilo Toninelli, i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte hanno già promesso la revoca della concessione autostradale e una multa da 150 milioni di euro. Così, senza che non sia conclusa, forse nemmeno iniziata, una straccio di indagine, né emesso mezzo avviso di garanzia, perché «ad Autostrade paghiamo i pedaggi più alti d’Europa e loro pagano tasse bassissime», dice Di Maio. Cosa che, ne converrete, non c’entra nulla con quanto accaduto al Ponte Morandi, ma pare faccia guadagnare un sacco di like su Facebook.

E pazienza, pure, che la revoca delle concessioni non arriverà mai, perché a quanto pare Autostrade per l’Italia incasserebbe una penale di venti miliardi di euro, che non abbiamo neanche per sbaglio. L’importante, oggi, era trovare
il colpevole da offrire in pasto all’opinione pubblica per i rituali due minuti d’odio quotidiano. Prima di Autostrade e del suo amministratore delegato Giovanni Castellucci era stato il turno dell’Europa cattiva (Salvini), dei richiedenti asilo (Santanché), dei camionisti polacchi (Milena Gabanelli), del comitato No Gronda e dei Cinque Stelle che lo sostenevano, Beppe Grillo compreso (il Pd), di Graziano Delrio, il ministro che c’era prima, e di Danilo Toninelli, il ministro che c’era da poco più di cinquanta giorni.

Potremmo passare il resto dell’articolo a fare gli avvocati difensori in ognuno di questi processi sommari, e non sarebbe nemmeno troppo difficile. Il punto però è un altro: il punto è che non ha senso anche solo avere bisogno di trovare un colpevole, un capro espiatorio, mentre ancora i pompieri stanno estraendo morti e feriti dalle macerie. Non ha senso perché non risolve nulla e non affronta il cuore del problema: perché si sa da anni che il Ponte Morandi è pericoloso - Giovanni Calvini, ex presidente degli industriali di Genova, nel dicembre 2012, disse che quel ponte sarebbe crollato entro dieci anni - , ma è da anni, se non da decenni che nessuno si è preso la briga di ristrutturare o di sostituire quel “fallimento dell’ingegneria”, come disse due anni fa il professor Antonio Brencich nella sua profetica intervista a Primo Canale del 2016.

Lo stesso peraltro, potremmo dirlo dei cinque ponti crollati negli ultimi cinque anni, o del tetto dell’Istituto Tecnico Montani di Fermo, crollato lo scorso maggio, senza vittime per un caso del destino, tanto per fare qualche esempio, o di tutte le micro o macro manutenzioni straordinarie che questo Paese procrastina sempre al prossimo anno. O potremmo dirlo per le 647 opere incompiute che punteggiano la Penisola da un trentennio, chissà quante delle quali potrebbero evitare crolli e tragedie in futuro. O della totale indifferenza pubblica e privata per il rischio sismico e idrogeologico in un Paese in cui ci sono stati più di 400 terremoti distruttivi negli ultimi cento anni. Cambiano gli attori, gli schieramenti politici, i referenti tecnici, le aziende coinvolte, ma non cambiano mai negligenze, ritardi, faciloneria, lentezze burocratiche, lavori fatti male, manager incompetenti, un’autobiografia della nazione di cui tutti, nessuno escluso, dovremmo prenderci un pezzo di responsabilità.

Perché un Paese serio ci metterebbe due mesi a ricostruire un ponte, e due anni a trovare un colpevole, mentre in Italia avviene esattamente il contrario. Perché se noi stessi contribuiamo a generare questo rituale catartico contro il capro espiatorio di turno, anziché pretendere tempi certi per la realizzazione delle opere, una burocrazia più snella, investimenti più semplici, appalti che prescindano dal criterio del massimo ribasso, gare europee per l’assegnazione delle concessioni, siamo parte del problema, non della soluzione. E non c'è nulla che ci potrà assolvere, nemmeno Toninelli, o Salvini, o Di Maio, né il capro espiatorio che ci offriranno in dono.

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