mercoledì 26 giugno 2024

Tito Boeri e Roberto Perotti: PNRR, la grande abbuffata / 2

 


Il PNR presenta a nostro avviso numerose criticità; cinque particolarmente importanti: 1) L’Italia ha voluto prendere a prestito troppo; 2) ha avuto troppo poco tempo per programmare come spendere queste risorse e ha troppo poco tempo per spenderle efficacemente; 3) ha fatto affidamento su riforme che non tengono conto della realtà, e sono quindi destinati a fallire o sono già fallite; 4) non ha pensato “al dopo 2026”, quando la grande abbuffata del Pnrr cesserà ma le strutture create con i suoi fondi andranno mantenute e gestite anno dopo anno, pena il degrado in poco tempo, e quando tante spese correnti dovranno tornare al loro livello normale, dopo un’effimera fiammata di soli tre anni; 5) ha sbagliato (in questo errore hanno in parte pesato i vincoli che ci sono stati imposti dall'Europa) nell'attribuire solo una piccola quota delle risorse a quello che riteniamo il problema principale del nostro paese, l’emarginazione e il degrado sociale. Non vale a questo riguardo l’obiezione secondo la quale l'obiettivo del Pnrr era stimolare la crescita anziché l'integrazione sociale.

martedì 25 giugno 2024

R.E.M: la loro reunion non segna il ritorno insieme, rimangono un’anomalia nello showbiz

 


da: https://www.lettera43.it/ - di Michele Monina

La reunion dei R.E.M resta un sogno e conferma l’anomalia della band di Athens

Stipe e compagni sono tornati a esibirsi insieme ma solo per celebrare l'ingresso nella Songwriters Hall of Fame. E non stupisce per una band che non mai rincorso le mode del mercato. Accontentiamoci della colonna sonora che negli anni ci ha regalato.

Alla fine è successo davvero, dopo 17 anni dall’ultima volta, i R.E.M. sono tornati a suonare e cantare insieme. Giusto il tempo di eseguire una versione folgorante in acustico di Losing My Religion, certo, ma resta un qualcosa che si credeva impossibile. In un mondo di reunion, infatti, Michael Stipe, Peter Buck, Mike Mills e Bill Berry sono sempre stati fedeli alla loro decisione di non tornare insieme. Unica eccezione l’ingresso della band nella Songwriters Hall of Fame, al Marriot Marquis Hotel di New York, dopo essersi esibiti insieme in occasione di un’altra celebrazione: l’ingresso alla Rock and Roll Hall of Fame. In mezzo carriere soliste quantomai disparate. Recentemente abbiamo più volte avuto modo di incrociare Stipe a Milano dove ha tenuto una importante mostra fotografica, sua attività principale da quando ha, almeno parzialmente, appeso il microfono al chiodo.

Perché i R.E.M sono una anomalia nello showbiz

domenica 23 giugno 2024

Elezioni: quelli che ce l’hanno con gli astensionisti....

 


Le elezioni europee hanno visto una bassa affluenza. Diciamo che non è l’appuntamento elettorale a cui il cittadino italiano tiene maggiormente. Ma, soprattutto, sono state le ultime elezioni politiche, quelle che hanno portato alla vittoria la coalizione di centro-destra, per meglio dire: di destra-centro, a vedere una crescita dell’astensionismo. Meloni ha vinto non perché la maggior parte degli italiani è di destra o di centro o di centro-destra o di destra-centro. Meloni ha vinto perché tra gli elettori votanti il voto maggiore è andato a FDI e al resto della sua coalizione.

Dopo i risultati elettorali, sia interni sia per l'elezione del Parlamento europeo, parte il coro di coloro che – non avendo votato la compagnia Meloni – insorgono contro gli astensionisti. Sarebbero questi italiani i colpevoli della vittoria o riconferma della Meloni.

Se gli assenti hanno sempre torto, se astenendosi si lascia la decisione a chi vota, a me pare che il problema principale di questo paese sia il contrario. Non gli astensionisti. Non mi riferisco ai menefreghisti o chi – e sono parecchi - comunque vada, chiunque vinca, ha sempre qualcuno che difende i suoi interessi, ergo: manco c'è bisogno che vada alle urne. 

Colpe o meriti non sono degli astensionisti che ne hanno pieni i coxxioni e/o rassegnati a uno status quo politico che mai affronta e risolve i problemi del paese.

Fisco, chi evade di più: dai ristoranti a pelliccerie e palestre. Bar e finanziarie fanno peggio degli idraulici



da: Il Fatto Quotidiano – di Chiara Brusini

Pochi controlli. Ristoranti, bar, lavanderie ma pure notai, elettricisti, commercianti, tassisti: l’identikit degli autonomi che “tradiscono”

Se professionisti e piccoli imprenditori rischiano un controllo fiscale ogni 30 anni. Se per bar e ristoranti le probabilità di una verifica sono poco più dell’1%. Se il 98% degli idraulici ed elettricisti in un anno non ha incontri ravvicinati con le Entrate. Se le sospensioni della licenza ad attività che non fanno ricevute e scontrini sono poco più di 300 all’anno. Se il sistema funziona così, chi non vuol pagare le tasse vive sereno alle spalle di milioni di contribuenti che versano tutto per convinzione o perché non hanno alternativa. Al netto dell’invocato incrocio delle banche dati, partito da poco, in Italia finora è andata così: lavoratori autonomi e imprese individuali evadono più di due terzi del dovuto.

Ma la propensione al nero non è uguale per tutti. Le tabelle sugli Indici sintetici di affidabilità fiscale (Isa) pubblicate dal dipartimento delle Finanze del Mef permettono di individuare, come ha fatto per primo Il Sole 24 Ore, le categorie in cui si concentrano i probabili evasori. Gli Isa classificano le attività attribuendo a ognuna un giudizio da 1 a 10. Per l’Agenzia delle Entrate chi prende almeno 8 dichiara il giusto, chi sta sotto è considerato inaffidabile. La platea a cui si applicano i voti, 2,7 milioni di partite Iva con ricavi fino a 5 milioni, è molto rappresentativa ma lascia fuori gli autonomi che godono della flat tax. Ecco un florilegio basato sulle statistiche sul 2022, che aiutano anche a capire perché secondo molti commercialisti il neonato concordato preventivo biennale, che richiede a chi aderisce di raggiungere in due anni un “voto” pari a 10, sia destinato al flop.

giovedì 20 giugno 2024

Satnam, morto di caporalato. L'avevano lasciato davanti a casa senza un braccio



da: https://www.avvenire.it/

Non ce l'ha fatta il giovane bracciante indiano che era finito sotto un rullo lunedì scorso nei campi di Latina. Lo sdegno della politica: «Questa è barbarie»

Si chiamava Satnam Singh. Aveva 31 anni, un bel pezzo di vita davanti. Per dare dignità a quella vita, dall'India, aveva scelto di venire a vivere e lavorare in Italia tre anni fa con suo moglie. E come tanti altri suoi connazionali si era stabilito nell'Agro Pontino, nella provincia di Latina, dove vivono migliaia di altri braccianti indiani di origine sikh che lavorano per lo più con contratti irregolari e in condizioni di gravissimo sfruttamento, assicurando frutta e verdura ai mercati di mezza Italia. Vittime indifese del caporalato. Avvenire lo denuncia da anni, lo ha fatto con una lunga serie di inchieste (qui l'ultima) in cui abbiamo documentato le loro condizioni: 14 ore e più di lavoro al giorno (più spesso di notte), paghe di 3 euro all'ora, meno di un terzo di quanto prevede il contratto collettivo.

Satnam è arrivato all'ospedale San Camillo di Roma lunedì, trasportato d'urgenza da un elicottero. Mentre lavorava nei campi è stato agganciato da un macchinario avvolgiplastica a rullo trainato da un trattore, che gli ha tranciato il braccio e schiacciato le gambe. O almeno, questo hanno raccontato gli altri braccianti che erano con lui visto che i suoi datori di lavoro, alla vista della scena, se la sono data a gambe: l'hanno semplicemente caricato sul pullmino (con lui la moglie, anche lei dipendente della stesa azienda, che a bordo implorava di chiamare l'ambulanza) e riportato a casa. Lì l'hanno lasciato, col suo braccio staccato appoggiato

Marco Travaglio: Premier lingue

 

Non è meraviglioso, si chiede Travaglio alla fine del suo articolo. 

Sì, una meraviglia. Di merdata. Questa riforma è la peggiore mai proposta. Una meravigliosa merdata. E le merdate costituzionali vanno fermate. Lo abbiamo già fatto, democraticamente, vorrà dire che lo rifaremo.

 

da: Il Fatto Quotidiano

Se non ci fosse da tremare per il combinato disposto fra premierato, autonomia e schiforma della magistratura, ci sarebbe da scompisciarsi.

Due partiti con l’Italia nel logo, FdI e FI, la polverizzano in 21 staterelli, ciascuno con le sue regole, per far contento un partito estinto che non era riuscito nell’impresa neppure quando veleggiava sul 40%. Poi, se un deputato 5S gli mostra il tricolore, reagiscono come il toro al drappo rosso: caricando a testa bassa. E i loro lecchini sono talmente idioti da dire (e forse addirittura pensare) che con l’elezione diretta del premier “basta governi tecnici, altolà ai ribaltoni, istituzioni più stabili”. Quattro balle al prezzo di una.

martedì 18 giugno 2024

Tito Boeri e Roberto Perotti: PNRR, la grande abbuffata /1

 


A differenza di quasi tutti i paesi europei, L’Italia ha chiesto il massimo delle somme del programma Next Generation EU. Per 6,5 euro su 10 si tratta di prestiti. Benché concessi a tassi agevolati, andranno restituiti. La scommessa su cui si regge questa scelta è che il Pnrr aumenterà per sempre il tasso di crescita dell’economia italiana. È una scommessa condivisa da tre governi: il governo Conte II ha chiesto il massimo dei fondi senza sapere bene come spenderli; il governo Draghi, pur avendo la possibilità e il capitale politico per frenare il treno in corsa, ha rinunciato a prendere atto della realtà; il governo Meloni ha fatto alcuni aggiustamenti necessari, ma anche ridotto la spesa più importante, quella sulla emarginazione sociale, e ha rimosso gli obiettivi di contrasto all’evasione. Tutti i governi hanno sbandierato stime iperboliche degli effetti positivi del Pnrr, senza alcun fondamento nella realtà.

Nessun governo si è posto il problema di come finanziare la gestione futura degli investimenti. Oggi sappiamo che il Pnrr è in forte ritardo, ma questo non è il problema principale. Il Pnrr ha un vizio di origine: troppi soldi, troppa pressione per spenderli a prescindere, troppo poco tempo per spenderli bene. Stanzia cifre assurdamente alte su spese inutili o deleterie ma “facili” come il Superbonus o “alla moda” come il digitale nelle scuole primarie mentre trascura spese

Paolo Madron: Meloni e il bunker ideologico fascista che le preclude l’Europa

 


da: https://www.lettera43.it/

I 400 COLPI. Se la leader di Fratelli d’Italia non si ripulisce dalla risacca nera documentata anche dall'inchiesta di Fanpage, magari lasciando quelle derivazioni nostalgiche alla Lega di Vannacci-Farinacci, non diventerà mai reginetta dell’Unione. Dove nonostante tutto danno le carte sempre gli stessi. Mentre la Thatcher de noantri gioca in seconda serie.

Giorgia Meloni pensava che il paradosso bastasse, ma la realtà la obbliga a ricredersi. Entrata nell’agone europeo da playmaker, rischia di risultare ininfluente. Il paradosso è quello di un’Europa che sulla carta ha i numeri per confermare la maggioranza che l’ha sin qui governata, nonostante nei due Paesi che la guidano, Francia e Germania, il risultato delle elezioni abbia provocato un terremoto politico senza precedenti. A Parigi il travolgente consenso a Marine Le Pen ha costretto il presidente Emmanuel Macron a sciogliere il parlamento e giocarsi tra le critiche dei suoi l’azzardo elezioni. A Berlino il cancelliere Olaf Scholz ha subito l’umiliazione di vedersi superato dai neonazisti di Alternative für Deutschland (AfD). Eppure a Bruxelles sono ancora loro a dare le carte, e l’aver perentoriamente derubricato Meloni a estremista di destra complica le ambizioni della Thatcher de noantri. Non bastano certo le tiepide rimostranze di Antonio Tajani, uno che tra i Popolari gode di solida reputazione, per attenuare il drastico giudizio.

Michele Monina: Perché i mega concerti uccidono la qualità dell’ascolto e il mercato dei live

 

 

da: https://www.lettera43.it/

Stadi e arene sold out si sono mangiati i piccoli eventi dal vivo, danneggiando gli artisti più di nicchia. Ma danneggiano pure lo spettatore. Perché se l'importante è esserci, esserci decentemente è diventato superfluo tra code, parcheggi introvabili e gli odiati token. Vivere l'experience vince su tutto. E resistere non serve (quasi) a niente.

#IoRestoaCasa. Queste quattro parole con un hashtag davanti, lette oggi, evocano scenari terribili: il Covid, i lockdown, la vita sociale che di colpo si arrestava, senza un futuro certo, con tutto quel che ne è conseguito. Oggi, tolto l’hashtag, sembra che l’idea di rimanere a casa sia quasi impraticabile, come se di colpo ci fosse addirittura impossibile pensare di non stare costantemente in mezzo alla folla, si tratti di aperitivi, di spiagge affollate o di megaraduni di varia natura. Così eccoci tutti alla ricerca di momenti di condivisione, ricreando plasticamente situazioni che altrimenti ci farebbero sorridere. Abbiamo infatti tutti più o meno riso vedendo le mucche che in Svezia si rotolano lungo prati verdeggianti nel loro primo giorno di luce, dopo l’inverno passato al chiuso, salvo poi comportarci esattamente alla medesima maniera. Discorso valido in un po’ tutti i campi, tanto più in quelli inerenti alla musica, il mondo dello spettacolo decisamente martoriato dai mesi di lockdown, poi un’esplosione di concerti in stadi e grandi arene come mai si sarebbe potuto ipotizzare prima. Al punto che il Comune di Milano, è storia vecchia, ha dovuto fissare un tetto massimo di concerti a San Siro, onde evitare che la grande richiesta di date portasse gli abitanti del quartiere a vivere una condizione di troppo stress, sempre che 27 concerti in due mesi non siano di loro già sufficienti a minare il sistema nervoso.

giovedì 13 giugno 2024

Luigino Bruni: Se la leadership entra a scuola



da: Il Messaggero di Sant’Antonio

Se la scuola inizia a distinguere gli studenti in leader e follower, mina uno dei pilastri dell’educazione: la riduzione in classe delle diseguaglianze naturali e sociali per creare quella comune cittadinanza essenziale a ogni patto sociale.

Leadership è diventata parola sacra della nuova religione del capitalismo. La si invoca ovunque. Anche gli ambienti ecclesiali – dove si incontrano corsi sulla leadership di Gesù, di san Benedetto e persino di san Francesco – ne sono ammaliati. Nonostante il fondatore del Cristianesimo abbia detto: «Non vi fate chiamare guide (cioè leader), perché una sola è la vostra guida» (Mt 23,10), e poi costruito tutto l’umanesimo cristiano attorno al concetto di sequela, che è l’esatto opposto della leadership. E invece, pur moltiplicandosi gli aggettivi (inclusiva, gentile, comunitaria …), il sostantivo, leadership, non viene mai messo in discussione.

Le ragioni dell’affermarsi di questo nuovo dogma sono molte, ma alla radice c’è una nuova grande fragilità relazionale ed emotiva di lavoratori e dirigenti, in un mondo che ha disimparato come si lavora insieme. E così, da una parte, critichiamo il patriarcato e tutto l’umanesimo di quel mondo gerarchico, e poi, dall’altra, edifichiamo una cultura della leadership che, sotto molti aspetti, è più patriarcale del patriarcato (è impressionante come il movimento femminista non si sia ancora accorto di quanto maschilismo sia incorporato nell’idea di leadership).

Milano, la mani (da nascondere) sulla città

 


da: Il Fatto Quotidiano – di Marco Franchi

La Mani pulite dei grattacieli di Milano è iniziata in sordina nel giugno 2019. Alcuni abitanti della zona tra piazza Aspromonte e piazzale Loreto vedono dei cartelli affissi che pubblicizzano appartamenti nuovi di zecca in vendita sotto un nome molto green: “Hidden Garden”, giardino nascosto. In realtà si tratta di un palazzone di sette piani, ancora da costruire. Ma dove è previsto che sorga? Dentro il cortile dell’isolato delimitato da piazza Aspromonte, via Garofalo, viale Gran Sasso e via Filippino Lippi, al posto di un fabbricato di due piani, da abbattere. Gli abitanti dell’isolato si oppongono, fanno partire le prime iniziative legali.

Parte così, nel 2022, la prima inchiesta sull’urbanistica milanese, aperta dalla pm Marina Petruzzella. Quel cortile non è un cortile, dice la Commissione Paesaggio del Comune, ma uno spazio residuale, “saturato in modo frammentario e caotico”. Dunque è possibile costruirvi l’Hidden Garden alto 27 metri, un giardino nascosto davvero molto bene.

Nel 2024 le indagini sulle operazioni urbanistiche a Milano si moltiplicano. L’elenco dei palazzi sotto inchiesta per  abusi edilizi si allunga settimana dopo settimana. La Torre Milano di via Stresa, le Park Towers di via Crescenzago, il Bosconavigli di viale Troya, i palazzi abbattuti in via Crema e in via Lamarmora, altri palazzi che spuntano dentro i cortili in via Fauchè e in via Lepontina, le torri sul Parco delle Cave, il palazzone di dieci piani progettato in via Anfiteatro, nel cuore del quartiere di Brera.

Milano, Sala querela il giornalista Barbacetto

 


da: Il Fatto Quotidiano – di Davide Milosa

Delibera contro il cronista: Sala ora intimidisce

Surreale richiesta danni non al ‘Fatto’, ma al singolo autore degli articoli

Un atto che stupisce e inquieta quello deliberato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala e dalla sua giunta nei confronti del giornalista del Fatto Quotidiano Gianni Barbacetto.

Potrebbe sembrare uno scherzo se non fosse tutto scritto in una delibera datata 6 giugno che approva “la citazione avanti al Tribunale civile di Milano per ottenere il risarcimento dei danni subiti dall ’Amministrazione Comunale in relazione alle affermazioni diffamatorie diffuse su social network, dal 15 marzo 2024”. Oggetto: la maxi-inchiesta della Procura sulla nuova speculazione edilizia che sta coinvolgendo funzionari dello stesso Comune, oltre a diversi costruttori.

È sotto gli occhi di ogni milanese lo strano fenomeno di grattacieli che nascono dove solo poco prima c’era un ca- pannone o una casa di ringhiera. È l’effetto magico della cosiddetta Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) che tutto permette, superando piani attuativi e oneri di urbanizzazione. A Milano vincono i palazzinari a discapito dei cittadini che si ritrovano con meno servizi, come si legge nel decreto di sequestro del cantiere di via Lepontina.

mercoledì 12 giugno 2024

Europee, batosta M5S: ciò che “sfugge” a Travaglio

 

 

L’analisi di Travaglio su vincitori e vinti  è in gran parte logica e condivisibile. Ma sul perché della batosta presa dal Movimento 5 Stelle gli “sfugge” il vero punto della questione. 

E' vero che nell’era mediatica si devono trovare candidati che attirano l’attenzione, nomi noti qualificati. Ma i veri problemi del M5S sono altri. Il primo è l’assenza di un progetto politico che non sia il superbonus e il reddito di cittadinanza. Un progetto che dia un’identità ma che dimostri di essere attuabile, applicabile. Per fare un esempio: la transizione ecologica è necessaria ma è anche necessario fare i conti con gli impatti sui cittadini, sulle imprese. Non servono slogan, bandiere. O meglio, servono per dare visibilità a progetti concreti. Se no, è aria fritta, sono buchi. Non solo di bilancio.

Se anche il M5S avesse dei progetti non se ne sente parlare. Non sarà certo per colpa dell’oscurantismo del cosiddetto servizio pubblico, cioè la Rai, dove il M5S è piegato alla Meloni.

Ma il secondo problema, irrisolto, sta nel fatto che il M5S non esiste a livello locale. Tanto più se vuoi candidare nomi sconosciuti questi devono essere presenti localmente. Il cittadino li deve incontrare, li deve vedere, li deve sentire. E la scelta dei candidati dev’essere fatta tra coloro che sono nelle associazioni, nei comitati cittadini. E questi devono essere affiancati e supportati da coloro che hanno già maturato un’esperienza politica, sempre che, coloro che hanno già svolto i due mandati non siano preda del loro egocentrismo e si rendano disponbili.

Marco Travaglio: Vincitori, vinti e finti

 


da: Il Fatto Quotidiano

In Europa trionfano le destre anti-europeiste. In Italia i partiti più ligi a Bruxelles – FdI, Pd e FI – vanno a gonfie vele. E ci andrebbe pure il centro, sesto al 7%, se la collisione fra gli ego di Bonino, Calenda e Renzi non l’avesse spaccato in due. Invece vanno male i più eurocritici: 5Stelle e Lega. Siamo o no il Paese delle restaurazioni senza rivoluzioni?

Pd. È il vero vincitore: 5 punti sopra il 19% racimolato due anni fa da Letta. Merito della Schlein, abile a far credere di essere l’unico argine alla Meloni, anche se su guerra e austerità votano allo stesso modo, e di voler “cacciare i cacicchi”, anche se la vittoria la deve soprattutto a loro (di preferenze ne ha raccolte pochine rispetto a quelle di ras locali come Decaro, Bonaccini, Zingaretti, Nardella, Gori), oltre a volti tv come Annunziata e rappresentanti dell’associazionismo come Strada. L’ambiguità di non scegliere né cambiare quasi nulla è la sua forza, anche grazie all’effetto-novità che, almeno la prima volta, riempie sempre le urne. Ma, se accade alle Europee, non porta benissimo: nel 2009 le stravinse B., nel 2014 Renzi, nel 2019 Salvini e durarono due anni ciascuno.

FdI. La Meloni è l’altra vincitrice: dopo quasi due anni di (mal)governo, guadagnare quasi 3 punti, pur perdendo 700 mila voti, è un miracolo. Anche lei è stata abile nell’operazione Gattopardo di stare con l’establishment fingendosi contro: intercetta i voti di protesta anti-Ue, pur essendo pappa e ciccia con Ursula von Sturmtruppen. Vediamo quanto dura: chi vince le Europee di solito poi perde le Politiche.

venerdì 7 giugno 2024

Calcutta: Tutti

 

Calcutta: Controtempo

 

Marco Travaglio: Enrico, perchè?

 


da: Il Fatto Quotidiano

Gli estimatori di Enrico Mentana (e noi fra questi: stimare non è condividere tutto) sono basiti per lo spettacolino inscenato mercoledì sera al posto del Tg La7: un monologo di Giorgia Meloni detta Giorgia intervallato da assist e battutine del conduttore a tre giorni dalle elezioni.

Il fatto che Mentana si giustificasse ogni due per tre spiegando che era tutto normale, un atto dovuto, nessun regalo, dimostra che era imbarazzato anche lui. E allora non si capisce perché si sia prestato a quello sketch imbarazzante, per lui e per la Meloni. Anche perché subito dopo, a Ottoemezzo, è tornata la normalità con Salvini bersagliato da Gruber e Giannini con domande vere e, quando mentiva, con contestazioni. A quel trattamento, detto anche giornalismo, si sono sottoposti tutti i leader (gli ultimi sono stati Calenda, Magi e ieri Conte) tranne Elly Schlein. E appunto la Meloni che, in modalità “io so’ io”, ha preteso e ottenuto il piedistallo del tg, sostituendolo quasi in toto. Invece tutti gli altri capipartito si sono messi in fila per le due prime serate elettorali di ieri e di oggi. Una violazione della par condicio ancor più smaccata di quella tentata da Meloni-Schlein chez Vespa e bloccata dall’Agcom.