da: Il Fatto Quotidiano
In Europa trionfano le destre anti-europeiste. In Italia i partiti più ligi a Bruxelles – FdI, Pd e FI – vanno a gonfie vele. E ci andrebbe pure il centro, sesto al 7%, se la collisione fra gli ego di Bonino, Calenda e Renzi non l’avesse spaccato in due. Invece vanno male i più eurocritici: 5Stelle e Lega. Siamo o no il Paese delle restaurazioni senza rivoluzioni?
Pd. È il vero vincitore: 5 punti sopra il 19% racimolato due anni fa da Letta. Merito della Schlein, abile a far credere di essere l’unico argine alla Meloni, anche se su guerra e austerità votano allo stesso modo, e di voler “cacciare i cacicchi”, anche se la vittoria la deve soprattutto a loro (di preferenze ne ha raccolte pochine rispetto a quelle di ras locali come Decaro, Bonaccini, Zingaretti, Nardella, Gori), oltre a volti tv come Annunziata e rappresentanti dell’associazionismo come Strada. L’ambiguità di non scegliere né cambiare quasi nulla è la sua forza, anche grazie all’effetto-novità che, almeno la prima volta, riempie sempre le urne. Ma, se accade alle Europee, non porta benissimo: nel 2009 le stravinse B., nel 2014 Renzi, nel 2019 Salvini e durarono due anni ciascuno.
FdI. La Meloni è l’altra vincitrice: dopo quasi due anni di (mal)governo, guadagnare quasi 3 punti, pur perdendo 700 mila voti, è un miracolo. Anche lei è stata abile nell’operazione Gattopardo di stare con l’establishment fingendosi contro: intercetta i voti di protesta anti-Ue, pur essendo pappa e ciccia con Ursula von Sturmtruppen. Vediamo quanto dura: chi vince le Europee di solito poi perde le Politiche.
5 Stelle. Precipitati alla percentuale Lidl del 9,99, sono i veri sconfitti. Le cause sono arcinote e, altro paradosso, figlie più dei loro meriti che dei loro difetti. Hanno fatto un sacco di cose buone nei governi Conte-1 e Conte-2, tant’è che Draghi (col loro consenso, o sindrome di Stoccolma) e Meloni hanno passato il tempo a demolirle, seminando frustrazione e rassegnazione fra i loro elettori. E sono prigionieri di regole rigide ben oltre l’autolesionismo, come la scelta di gran parte dei candidati affidata agli iscritti e il limite di due mandati. Gli sconosciuti scelti dagli iscritti, appena cominciano a farsi conoscere, scadono e devono sparire. Ma le liste di sconosciuti (tranne Tridico e pochi altri, che infatti vanno bene) non attirano voti e non smuovono astenuti, specie se gli unici elettori interessati sono quelli di opinione che non vendono o scambiano il voto. Se poi l’unico valore aggiunto rimasto, cioè Conte, non può e non vuole candidarsi per finta mentre gli altri lo fanno senza pagare pegno, anzi guadagnandoci, è dura restare a galla. Tantopiù se il 51% degli elettori italiani (il 57 al Sud e il 63 nelle isole), quelli non cammellati, restano a casa.
Il resto l’ha fatto la bipolarizzazione fittizia Meloni-Schlein imposta dai media filo-governativi (Giorgia, come competitor, preferisce mille volte Elly) e quelli filo-Pd: cioè tutti. Ciò detto, può darsi che un movimento “biodegradabile” come lo definì Grillo, che a biodegradarlo contribuì da par suo conficcandolo nel governo Draghi, sia vicino all’estinzione. Ma può anche darsi che il suo peso nazionale, con un’affluenza da elezioni Politiche, sia ancora il 15 dei sondaggi di sabato. E anche se fosse quello di terzo partito al 10, il secondo fra i giovani, meriterebbe un rilancio, non una resa, con nuove regole diverse da quelle pensate quando nella loro utopia Grillo e Casaleggio gli davano dieci anni di vita. La tentazione di Conte di passare la mano è comprensibile: sbattersi tanto per raccogliere così poco è frustrante e restare dopo tale batosta può sembrare avvitarsi alla poltrona. Ma, senza di lui, il M5S sarebbe morto già con la cura Draghi e ora si sognerebbe pure il 9,99%.
Avs. Il 6,7% è ottimo per Bonelli e Fratoianni, verdi pacifisti all’opposto dei bellicisti tedeschi. Merito delle liste che, all’opposto di quelle dei 5Stelle, erano piene di famosi per i più vari motivi: Salis, Marino, Orlando, Lucano…
Lega. L’effetto Vannacci, figlio dell’effetto-giornaloni, ha attutito il tonfo soprattutto nel Centro-Sud, dove la Lega va un po’ meno peggio che alle Politiche. Ma la famosa “decima” s’è fermata a 9. E il tracollo nel Lombardo-Veneto è tanto più devastante in quanto, per ora, a Salvini non c’è alternativa.
Centro. Se la Bonino avesse seguito Calenda, il suo centrino europeista sarebbe vivo e spendibile nell’alleanza anti-destra. Invece, buon’ultima, ha creduto a Renzi e il 6,5 dei loro due partitini è diventato 3,7. Meno di quanto avrebbe preso da sola. Vedremo chi sarà il prossimo a fidarsi di bin Rignan, ove mai un gonzo di tali dimensioni esistesse in natura.
FI. Guidata da un leader più spento del caro estinto, sfiora il 10 e scavalca la Lega. Sì, è un’illusione ottica perché ha imbarcato i centrini di Lupi e Brugnaro. Ma è pure un trionfo, spiegabile con gli spropositi degli alleati: una quota di conservatori preferisce un partito che non fa e non dice niente a uno che fa e dice cazzate.
Draghi. Salvo sorprese e malgrado centinaia di articoli di stampa (solo italiana, ovviamente) sul suo irrinunciabile e irresistibile sbarco in Europa, SuperMario resta disperso come la sua Agenda. Ma gli archeologi e gli speleologi continuano a scavare.
Putin. Stando
ai giornaloni, la propaganda russa a suon di fake news aveva l’Italia in pugno.
Ma curiosamente i noti putiniani Conte, Santoro, Tarquinio (nota di eppursimuove: ultimato lo spoglio, post articolo di Travaglio, Tarquinio risulto eletto) e Salvini hanno
perso. O i temibili hacker russi dormivano anche stavolta, o sono delle pippe
cosmiche.
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