da: Il Fatto Quotidiano – di Chiara Brusini
Pochi controlli. Ristoranti, bar, lavanderie ma pure notai, elettricisti, commercianti, tassisti: l’identikit degli autonomi che “tradiscono”
Se professionisti e piccoli imprenditori rischiano un controllo fiscale ogni 30 anni. Se per bar e ristoranti le probabilità di una verifica sono poco più dell’1%. Se il 98% degli idraulici ed elettricisti in un anno non ha incontri ravvicinati con le Entrate. Se le sospensioni della licenza ad attività che non fanno ricevute e scontrini sono poco più di 300 all’anno. Se il sistema funziona così, chi non vuol pagare le tasse vive sereno alle spalle di milioni di contribuenti che versano tutto per convinzione o perché non hanno alternativa. Al netto dell’invocato incrocio delle banche dati, partito da poco, in Italia finora è andata così: lavoratori autonomi e imprese individuali evadono più di due terzi del dovuto.
Ma la propensione al nero non è uguale per tutti. Le tabelle sugli Indici sintetici di affidabilità fiscale (Isa) pubblicate dal dipartimento delle Finanze del Mef permettono di individuare, come ha fatto per primo Il Sole 24 Ore, le categorie in cui si concentrano i probabili evasori. Gli Isa classificano le attività attribuendo a ognuna un giudizio da 1 a 10. Per l’Agenzia delle Entrate chi prende almeno 8 dichiara il giusto, chi sta sotto è considerato inaffidabile. La platea a cui si applicano i voti, 2,7 milioni di partite Iva con ricavi fino a 5 milioni, è molto rappresentativa ma lascia fuori gli autonomi che godono della flat tax. Ecco un florilegio basato sulle statistiche sul 2022, che aiutano anche a capire perché secondo molti commercialisti il neonato concordato preventivo biennale, che richiede a chi aderisce di raggiungere in due anni un “voto” pari a 10, sia destinato al flop.
Ristoranti. Il 72% dei 95 mila locali con ricavi sopra i 30mila euro ha redditi (ricavi meno costi) considerati non congrui. In media il loro imponibile annuo è sotto la soglia di povertà assoluta: 8.600 euro. Cifra che è l’83,4% in meno rispetto ai 53.400 euro su cui pagano le tasse i 26.370 imprenditori del settore ritenuti contribuenti fedeli. Nel 2019 i ristoratori con pagelle sopra l’8 guadagnavano mediamente di meno, 45.200 euro. Dunque dopo la pandemia si sono più che ripresi. Quelli sotto l’8 sembrano lavorare in un mercato diverso, dove il business cala: prima del Covid dichiaravano 13.100 euro.
Bar. Tra i pubblici esercizi gli oltre 92 mila bar, gelaterie e pasticcerie contano una quota di inaffidabili – con redditi medi poco sopra gli 8.100 euro – superiore al 68%.
Alberghi. Tra le 33 mila strutture la percentuale scende al 60%, ma il divario di imponibile tra virtuosi (79 mila euro) e non (12 mila) sfiora l’85%. Meno inclini a evadere villaggi turistici e campeggi (55%).
Balneari. Gli stabilimenti, finora esentati dall’applicazione della direttiva Bolkestein, versano tra tutti come canone per le concessioni appena un centinaio di milioni l’anno e anche sul fronte fiscale non si sprecano. Metà delle 5.716 attività soggette agli Isa è insufficiente perché sostiene che, sottratti i costi, in cassa restano in media 14.200 euro all’anno. I virtuosi arrivano a 49.100 euro, il 70% in più.
Palestre e piscine. Le distanze sono ancora più plateali per le attività ricreative che lamentano di avere, in media, redditività negativa. Se i pochi gestori ritenuti in regola, 850 su oltre 3.500, tirano avanti con 32 mila euro di reddito medio annuo, altri 2.700 sostengono di perdere in media 13.300 euro. Anche tra queste, come per i ristoranti, rispetto al 2019 i primi fanno più affari mentre i secondi vedono gonfiarsi solo le perdite. Ci sarebbe da chiedersi per quale motivo non chiudano, a meno che dietro l’apparente crisi nera ci siano solo dichiarazioni infedeli.
Discoteche. Le poco meno di 1.000 soggette agli Isa per risultare congrue dovrebbero dichiarare almeno 74mila euro, ma lo fanno solo 290: le altre sono a meno di 2.900 euro.
Lavanderie
e tintorie. Spiccano per quota di attività che dichiarano troppo
poco: 6 mila su 7.645, il 78%. Il loro reddito medio, al netto dei costi, si
ferma a poco più di 7mila euro. Il 72% in meno rispetto ai 25.900 di imponibile
di chi ha una pagella da 8.
Noleggio auto. Tra le attività più grandi, 2.267 su 2.926 pagano le tasse su meno di 24 mila euro di reddito medio. Solo 659 irreprensibili viaggiano su una media di 84mila euro.
Assistenza familiare. Questo è – non a sorpresa – un altro grande bacino di evasione. Le partite Iva che la svolgono a domicilio sono 5 mila, di cui 4.800 con ricavi oltre 30mila euro. Ma ben 3.500 dichiarano al fisco in media 900 euro l’anno, contro i 38 mila della minoranza affidabile.
Case di riposo. Due terzi (2.900) denunciano in media un rosso di 21 mila euro. Per le Entrate, le dichiarazione dei redditi credibili sono invece intorno ai 64 mila di profitto.
Elettricisti e idraulici. Su oltre 111mila attività, 69mila (62%) hanno un voto inferiore a 8: dichiarano meno di 45 mila euro, ben lontani dagli 80mila che servono per avere la patente di presunta regolarità.
Gioiellieri. Nella categoria che ai tempi dei vecchi studi di settore risultava tra le più sospette, al momento “solo” il 61% (6.700) risulta sleale con l’Erario e se la cava con 17mila euro di imponibile a fronte dei 46mila di chi ha la sufficienza.
Pelliccerie. Queste attività simbolo dei consumi di lusso con quasi il 73% di bocciature in base agli indici di affidabilità si piazzano nella “top five” del rischio evasione. Se le promosse dichiarano la bellezza di oltre 101 mila euro medi, quelle con Isa basso viaggiano intorno ai 1.000 euro all’anno.
Commercio al dettaglio. Il tasso di inaffidabilità è molto variabile a seconda del comparto: male le panetterie, con un 70% di voti sotto l’8, meglio i negozi di abbigliamento (63%) e i corniciai (54%).
Agenzie finanziarie e assicurative. Nei casi virtuosi realizzano i redditi medi più alti tra le 175 categorie Isa (oltre 460 mila euro), ma il 70% ha imponibile non congruo: poco meno rispetto alle autofficine, 10 punti in più rispetto ad agenzie immobiliari e autoscuole.
Notai. Sono per il 60% modelli di fedeltà fiscale, ma ce ne sono più di 1.700 che dichiarando meno di 240 mila euro l’anno sono potenziali evasori.
Farmacie e studi medici. Sono al top per affidabilità (75%) perché in campo sanitario la possibilità di detrarre la spesa solo se il pagamento è tracciabile fa la differenza.
Tassisti. A
loro non si applicano gli Isa, per cui è impossibile confrontare i seguaci del
bolognese RedSox, profeta del Pos, con quelli che accettano solo contanti. Il
Sole 24 Ore ha però ottenuto i dati sui guadagni medi dichiarati nel 2022:
15.500 euro, nonostante le licenze contingentate e le code che testimoniano una
domanda ben superiore all’offerta.
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