martedì 18 giugno 2024

Michele Monina: Perché i mega concerti uccidono la qualità dell’ascolto e il mercato dei live

 

 

da: https://www.lettera43.it/

Stadi e arene sold out si sono mangiati i piccoli eventi dal vivo, danneggiando gli artisti più di nicchia. Ma danneggiano pure lo spettatore. Perché se l'importante è esserci, esserci decentemente è diventato superfluo tra code, parcheggi introvabili e gli odiati token. Vivere l'experience vince su tutto. E resistere non serve (quasi) a niente.

#IoRestoaCasa. Queste quattro parole con un hashtag davanti, lette oggi, evocano scenari terribili: il Covid, i lockdown, la vita sociale che di colpo si arrestava, senza un futuro certo, con tutto quel che ne è conseguito. Oggi, tolto l’hashtag, sembra che l’idea di rimanere a casa sia quasi impraticabile, come se di colpo ci fosse addirittura impossibile pensare di non stare costantemente in mezzo alla folla, si tratti di aperitivi, di spiagge affollate o di megaraduni di varia natura. Così eccoci tutti alla ricerca di momenti di condivisione, ricreando plasticamente situazioni che altrimenti ci farebbero sorridere. Abbiamo infatti tutti più o meno riso vedendo le mucche che in Svezia si rotolano lungo prati verdeggianti nel loro primo giorno di luce, dopo l’inverno passato al chiuso, salvo poi comportarci esattamente alla medesima maniera. Discorso valido in un po’ tutti i campi, tanto più in quelli inerenti alla musica, il mondo dello spettacolo decisamente martoriato dai mesi di lockdown, poi un’esplosione di concerti in stadi e grandi arene come mai si sarebbe potuto ipotizzare prima. Al punto che il Comune di Milano, è storia vecchia, ha dovuto fissare un tetto massimo di concerti a San Siro, onde evitare che la grande richiesta di date portasse gli abitanti del quartiere a vivere una condizione di troppo stress, sempre che 27 concerti in due mesi non siano di loro già sufficienti a minare il sistema nervoso.

I megaconcerti si sono mangiati il mercato dei live e a rimetterci gli artisti di nicchia

Quello che però si profila, forse si è già calcificato, è uno scenario quantomai strabico, dove la sola certezza è che a rimetterci è lo spettatore. Da una parte infatti, ce lo dice da tempo la FIMI, con la prosopopea di chi è convinto che il peggio sia passato, vai poi a capire perché, c’è lo streaming che domina incontrastato il mercato discografico, dall’altro i concerti nei grandi spazi hanno mangiato il mercato degli show dal vivo, ammazzando gli artisti medi e relegando quelli piccoli in spazi sempre più in affanno. Che lo streaming sia una bolla che affama gli artisti, forte di numeri decisamente dopati che si sostengono grazie all’ascolto compulsivo di giovanissimi – ascolti quasi sempre praticati con gli smartphone, quindi in totale assenza di qualità – è ormai dato di fatto noto a tutti. Che a questi si contrapponga un mercato del live sempre più rivolto al mondo degli adulti, inutile star qui a fare i nomi dei soliti Vasco Rossi, ma anche Bruce Springsteen, AC/DC, volendo anche lo stesso Max Pezzali, pronto per tre date al Meazza a fine giugno, è altrettanto evidente. I prezzi dei biglietti sono infatti esorbitanti, e le location preposte a questo tipo di eventi circoscritte in aree spesso fuori dalla portata dei giovanissimi. Una caratteristica però accomuna streaming e megaeventi live, la scarsa qualità dell’ascolto. Attenzione, non della musica ascoltata, sarebbe ingeneroso fare di tutta erba un fascio, parlo proprio di qualità dell’ascolto, della fruibilità del prodotto musicale, perché di prodotto comunque si tratta.

Se l'”importante è esserci”, esserci in modo decente è diventato superfluo

Se infatti lo streaming è nato per non avere qualità eccelsa – i piccoli bachi che la ricerca iperveloce delle piattaforme di streaming pratica portano appunto a questo, non fosse già sufficiente di suo il fatto che gli smartphone, device scelto dalla stragrande maggioranza dei fruitori di queste app, non è certo un impianto hi-fi – diversa è la faccenda per i live. Di pari passo con una sempre maggiore attenzione per la resa dal vivo di brani che quasi mai vengono composti pensando appunto ai concerti, è infatti subentrata l’idea che i concerti stessi siano più una experience che un momento di mero ascolto, col risultato che alla fine il rito viene privilegiato rispetto a quest’ultimo. Così, non bastassero i parcheggi a chilometri di distanza e i mezzi sovraffollati, le ore di attesa per l’ingresso, le condizioni spesso disumane cui gli spettatori vengono sottoposti, l’assenza di ombra, i prezzi altissimi delle bevande e del cibo all’interno degli spazi, i gabinetti chimici dove si suppone vengano sintetizzate nuove armi di distruzioni di massa, i tanto odiati token, moneta virtuale vigente al posto degli euro, ecco che la qualità della musica che agli spettatori arriva è spesso discutibile, per non dire scadente. Gli stadi, come quasi tutti i grandi spazi che vengono utilizzati per i concerti, non sono stati studiati per la musica, e anche le nuove arene nate per lo scopo hanno spesso dimostrato come qualità e quantità non vadano quasi mai d’accordo. Al grido di “l’importante è esserci”, sembra infatti che dell’esserci e esserci in maniera decente sia divenuto superfluo, quasi un optional. Il che, per altro, è ancora più assurdo tenendo conto che nel mentre le possibilità offerte dalla tecnologie sono aumentate a dismisura, rendendo possibile quel che un tempo sarebbe stato archiviato sotto la voce “fantascienza”. Credo sia proprio una questione di scelta, quindi, e seppur per motivi diversi anche il mondo dei grandi ha deciso di adeguarsi al ribasso a quello dei giovanissimi, lasciando che a rimetterci fossero l’arte e la bellezza.

Piccoli locali e dischi veri: così si può provare a resistere

Non ci rimane altro che provare ad allestire uno straccio di resistenza, verrebbe da pensare, non fosse che la musica ascoltata male, oggi come oggi, sembra davvero l’ultimo dei nostri problemi. Resistenza da animare seduti in un qualche locale atto a un ascolto decente, quanto di più vicino alla resa di brani che solo in analogico potrebbero dare il meglio di loro, figuriamoci attraverso le casse standard di uno smartphone, senza neanche le cuffiette, o sparate a cannone dalle casse di uno stadio, mentre state lì intontiti dal sole dopo ore e ore di fila all’ingresso. Assuefarsi al brutto, del resto, è lo Zeitgeist di questa epoca di decadenza, ma almeno gli antichi romani si sono fatti sorprendere satolli e ubriachi dall’arrivo dei barbari, a noi sembra che non rimanga neanche la magra soddisfazione della pancia piena e la testa intontita dall’alcol, o tempora o mores.

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