giovedì 12 maggio 2022

“Il depistaggio su via D’Amelio coprì le alleanze di Cosa Nostra”

 


da: Il Fatto Quotidiano – di Saul Caia

I pm: per Bo, Ribaudo e Mattei pene fino a 11 anni. Avrebbero indotto il falso pentito Scarantino a mentire

Un depistaggio lungo trent’anni, con finti pentiti diventati testimoni chiave, istruiti a dovere da uomini dello Stato, per indirizzare indagini e processi, e “coprire le alleanze strategiche di Cosa Nostra”.

Nell’anno del trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino e i loro uomini della scorta, un nuovo tassello potrebbe chiarire una pagina nera della storia d’Italia. Dopo 70 udienze e 112 testimoni, la Procura di Caltanissetta ha chiesto la condanna dei tre poliziotti: Mario Bo (a 11 anni e 9 mesi), Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo (entrambi 9 anni e 6 mesi), imputati per calunnia aggravata, perché avrebbero spinto Vincenzo Scarantino, dopo ripetute “maltrattamenti e vessazioni”, a rendere dichiarazioni false ai magistrati autoaccusandosi di aver partecipato alla strage di via D’Amelio.

I poliziotti facevano parte del “gruppo d’indagine Falcon e Borsellino", guidato nel 1993 da Arnaldo La Barbera,  scomparso nel 2002. “La Barbera depista le indagini con dichiarazioni di falsi collaboratori e nega l’esistenza dell’agenda rossa – dice nella requisitoria

il pm Stefano Luciani –. La borsa di colore scuro di Paolo Borsellino giace per mesi sul divano di La Barbera, fino al 5 novembre 1992, e non è mai stata acquisita perché manca un verbale di sequestro. La sparizione dell’agenda rossa, se sparizione c’è stata, non è di interesse di Cosa Nostra ma da collegare a interessi estranei”. Spinto dai poliziotti di La Barbera, Scarantino si autoaccusa del furto della Fiat 126 imbottita di tritolo e usata per l’attentato. “Tutti sapevano – dice il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca – che Scarantino alla Guadagna (borgata di Palermo, ndr) era un personaggio delinquenziale di serie C. Parlare di questo gigantesco, inaudito depistaggio solo per motivi di carriera del dottore La Barbera è la giustificazione aggiornata e rimodulata classica di Cosa Nostra”. 

Ma le ombre non finiscono qui. “Quindici giorni dopo l’arresto di Scarantino – aggiunge Luciani –, atterra sul tavolo del procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, una nota del Sisde con a capo Bruno Contrada, veicolata attraverso la Squadra Mobile di Caltanissetta nella quale, incredibilmente, il Sisde anziché dire che Scarantino è un piccolo delinquente di borgata, lo definisce un boss mafioso”.

Solo un errore? “È impensabile – continua il pm Luciani – che i Servizi (...) non avessero saputo o compreso o capito che Scarantino era, uno scassapagliaro di modestissimo spessore criminale o eravamo nelle mani di persone che non sapevano fare il proprio mestiere, visto che non hanno dato alcun apporto di tipo informativo su fatti gravissimi come le stragi. O, ripeto, c’era dell’altro”. Per la Procura di Caltanissetta “ci sono elementi che dimostrano convergenze nell’ideazione della strage di via D’Amelio tra i vertici e gli ambienti riferibili a Cosa nostra e ambienti esterni a essa”.

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