giovedì 19 novembre 2020

Il giorno dopo l’annuncio del vaccino il Ceo di Pfizer vende il 62% delle sue azioni. Tutto legale, annunciato ad agosto. Un veggente?



da: https://it.businessinsider.com/ - di Mauro Bottarelli

Non ci fosse alla base di tutto un documento ufficiale, immediatamente si penserebbe a una delle tante teorie del complotto che stanno fiorendo negli Stati Uniti in queste convulse giornate post-elettorali.

Ma il documento c’è, recante l’intestazione della Sec, l’ente di controllo e vigilanza del mercato statunitense. E c’è anche il nome di chi l’ha compilato, al fine di rendere nota l’operazione che intendeva compiere: Albert Bourla. Identità sconosciuta ai più, almeno fino a lunedì scorso, giorno in cui l’azienda di cui questo signore è amministratore delegato ha riempito di speranza il cuore del mondo intero, annunciando gli straordinari risultati del proprio vaccino sperimentale contro il Covid. La Pfizer, appunto.

 

 

E le cifre sul documento parlano chiaro: il Ceo del colosso farmacutico il giorno seguente all’annuncio e al conseguente +16% in Borsa ha venduto il 62% del suo pacchetto azionario. Per l’esattezza, 132.508 azioni a un prezzo medio di 41,94 dollari per azione. Insomma, circa 5,6 milioni di dollari di controvalore, quasi al top-ticking dei massimi a 52 settimane, come mostra il grafico.

 

 

Meglio sottolinearlo da subito, a scanso di equivoci: Albert Bourle ha agito nella più totale legalità. La sua vendita infatti è stata compiuta in punta di regolamenti e in base alla

cosiddetta Rule 10b5-1 della Sec, la quale consente ai corporate insider, i dirigenti di aziende quotate, di vendere un predeterminato numero di azioni in una predeterminata data.

E un portavoce della Pfizer si è immediatamente premurato di sottolineare come la decisione e il piano di vendita risalissero infatti allo scorso agosto.

Ovviamente, trattasi di fortuita e fortunata coincidenza il fatto che la data predeterminata tre mesi prima per la vendita di oltre la metà dei propri titoli sia stata concomitante con un balzo del 16% e il raggiungimento del quasi massimo di valutazione a 52 settimane.

C’è però un problema. Anzi, almeno tre.

Primo, il Ceo di un’azienda è assolutamente a conoscenza di cosa accade nei propri laboratori. A maggior ragione, immaginiamo che rispetto a un progetto di punta come il vaccino contro il Covid, Bourla e i suoi manager abbiano preteso aggiornamenti pressoché quotidiani da parte del team di ricercatori e scienziati al lavoro. Il tutto in un contesto di tale apprensione e attesa generale da garantire un balzo del titolo in automatico, anche in base alla sola pubblicazione di una press release. Reazione pavloviana da ansia spasmodica e sempre più collettiva.

Secondo e direttamente collegato a livello settoriale, la storia recente ha portato agli onori delle cronache le vendite a orologeria degli insider di Moderna, casualmente anche in quei casi concomitanti o poco precedenti come annuncio alle autorità rispetto a ciclici annunci riguardo i progressi della sperimentazione del proprio vaccino, susseguitisi a nastro nel corso dell’estate. E se le vendite di titoli hanno coinvolto parecchi dirigenti e riguardato controvalori di milioni di dollari, a creare l’imbarazzo maggiore fu il fatto che il Ceo di Moderna, Stéphane Bancel, il 18 maggio scorso fu ospite di Cnbc e nel corso del suo intervento definì “un dato veramente eccitante” l’ultimo test di efficacia del proprio vaccino. Alla prova dei fatti, nulla di rivoluzionario uscì dai laboratori e si tradusse in realtà.

In compenso, questo grafico mostra come Bancel fosse già un attivo venditore di titoli della propria azienda, quasi sempre con tempistiche di contemporaneità fra operazioni di cessione e annunci che facevano sobbalzare il titolo.

 


Deve essere una prerogativa di facoltà divinatoria e preveggenza tipica dei Ceo, quindi.

Terzo, questa immagine mostra come lo scorso 3 agosto, proprio il mese in cui Albert Bourla avrebbe deciso la vendita del 62% del suo pacchetto di titoli Pfizer, Bloomberg pubblicasse un articolo nel quale il gigante del delivery globale, Ups, rendeva nota la creazione e l’abilitazione di appositi siti di stoccaggio per i vaccini anti-Covid, dotati di frigoriferi da ricerca in grado di raggiungere i -80 gradi necessari alla conservazione del siero senza rischi di pregiudicarne l’efficacia.

 


Di più, Ups rendeva nota la sua capacità di raggiungimento di praticamente tutto l’Occidente, avendo a disposizione facilities sia negli Usa che in Olanda per il mercato europeo.

Sicuramente, un’altra coincidenza temporale assolutamente fortuita. Al netto però del pressoché immediato interrogarsi del mercato – dopo l’euforia iniziale del 9 novembre – proprio su quella criticità di stoccaggio e conservazione, capace di allontanare temporalmente la prospettiva di una soluzione pret-a-porter contro la seconda ondata e fiaccare sul nascere il rally.

E a completere il quadro delle stranezze, ci ha pensato Deutsche Bank. Il cui analista di punta negli Usa, Jim Reid, il 10 novembre pubblicava un breve report alla cui base soggiaceva una domanda: il ritardo di Pfizer nella comunicazione sul vaccino ha forse cambiato l’esito delle elezioni Usa? Domanda pesante come un macigno, in giorni di tweetstorm da parte di Donald Trump e di sempre maggiori aperture ai riconteggi manuali da parte degli Stati più in bilico, ultimo dei quali la Georgia in via ufficiale.

 

E con questo grafico, Jim Reid sostanzia il suo dubbio di fondo: visti i margini a dir poco risicati che hanno portato alla vittoria di Joe Biden e lo swing minimo di votanti da un candidato verso l’altro in Stati chiave che avrebbe garantito al presidente uscente la rielezione (circa 25mila persone, lo 0,016% degli elettori totali), “la notizia di Pfizer riguardo l’efficacia del vaccino avrebbe avuto un impatto determinante e di segno opposto, se fosse stata diffusa una settimana o molto prima come ci si attendeva inizialmente?“. E in quel o molto prima, come ci si attendeva inizialmente, c’è tutto il senso del non detto nel report di Deutsche Bank.

Chi se lo attendeva? Il mercato? La comunità scientifica? Il mondo in generale? Al netto delle coincidenze, certamente uniche guide credibili in tutta questa storia, qualche sospetto rimane. Forse, alla luce del suo improvvido tweet, la sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, potrebbe illuminarci.

 

 

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