mercoledì 25 novembre 2020

Covid, Garattini: «La Lombardia mi ha deluso, medici lasciati soli in trincea»

 


da: https://www.corriere.it/ - di Giangiacomo Schiavi

Scienziato, farmacologo, fondatore dell’Istituto Mario Negri. «Bisogna ripensare la Sanità come un esercito per difenderci. Avremmo bisogno di poterci fidare, invece si parla di scienza come di calcio al bar»

Vaccini contro il Covid, sicuri ed efficaci: dobbiamo fidarci delle promesse, professor Garattini?

«Non abbiamo alternative, ma dobbiamo fare in modo che i dati sui risultati vengano resi pubblici. Senza trasparenza siamo fermi ai comunicati stampa...»

E chi può chiedere alle multinazionali del farmaco di rendere pubblici i risultati?

«Tocca ai governi, all’Europa, agli Stati che hanno finanziato in parte le ricerche: hanno il potere per farlo. L’opinione pubblica deve essere informata al netto della propaganda, con i vaccini deve esserci anche la fiducia della gente».

Teme l’ondata negazionista dei gruppi no vax ?

«Il margine di chi dichiara di non volersi vaccinare è ancora troppo alto, la diffidenza viene alimentata dalla scarsa trasparenza. Se ci sono i risultati è giusto che ci si vaccini, ma anche che si renda disponibile il kit per i Paesi che non hanno i soldi per comprarlo».

Sarebbe giusto togliere il brevetto, come ha fatto Sabin con il vaccino della polio...

«È auspicabile, ma è difficile che avvenga: chi ha investito vuole essere remunerato. Noi al “Mario Negri” non brevettiamo niente, vogliamo che i nostri risultati vengano conosciuti e siano disponibili a tutti. Ma non facciamo business con la salute, la nostra scienza è non profit».

Silvio Garattini ha 92 anni. Scienziato, farmacologo, fondatore dell’istituto Mario Negri: l’esperienza di una vita la mette in campo sul vaccino «per non farsi trovare impreparati», dice, «perché da quel che si conosce dipende la strategia», ma intanto sogna una nuova sanità e suggerisce di predisporre al più presto un piano, come la Germania, che ha già indicato i 60 centri per le vaccinazioni e dove avverrà la distribuzione. Spiega che davanti a tutti questi morti non possiamo ripetere il flop iniziale delle mascherine o quello dei tamponi, per arrivare ai ritardi del vaccino contro l’influenza. «In piena crisi da pandemia avremmo bisogno di poterci fidare della politica e della scienza...».

Invece...

«Invece ognuno dice la sua. I messaggi della politica sono contradditori e della scienza si parla come del calcio al bar. In questo modo si genera solo sfiducia».

Il Covid mette a dura prova la tenuta dell’attuale sistema sanitario.

«Il Covid ci ha dato un avvertimento. È arrivato il momento di uscire dal dualismo tra salute ed economia: è vero che se non c’è lavoro si muore di fame, ma è altrettanto vero che se ci si ammala non si lavora. La salute deve diventare un bene fondamentale in Italia, non deve essere importante solo quando si sta male».

Oggi siamo messi piuttosto male...

«I numeri del Covid sono mostruosi, ma si vedranno presto i danni provocati dai mancati interventi chirurgici e dagli esami rimandati, perché non ci sono sale operatorie e posti letto in ospedale. Non c’è solo il Covid, purtroppo: ogni anno in Italia ci sono 170 mila morti di tumore e più di 200 mila per infarti e ischemie. Chi ha malattie gravi in atto rischia di non essere tutelato. Il sistema sanitario è alle corde».

Qual è la sua proposta?

«Un ripensamento del sistema sanitario e una rivoluzione culturale che parta dalla scuola, dall’insegnamento della scienza come educazione alla vita. Bisogna considerare la malattia un fallimento. Il mio sogno è una sanità in equilibrio tra medicina ospedaliera e medicina del territorio, con molta più ricerca e prevenzione».

Se ne parla da anni, ma c’è un muro di interessi davanti.

«La prevenzione è un investimento. Costa poco e rende tantissimo, mentre tutto il resto è un grande mercato. Il mercato della sanità tende a produrre cose che servono alla malattie, mentre la buona sanità tende ad evitarlo».

Anche i vaccini fanno parte di questo mercato.

«Con il Covid i vaccini sono indispensabili. Ma non dobbiamo dare l’impressione che con questo si risolva tutto, sarebbe un cattivo messaggio quello di lasciar credere che non ci sono più regole da rispettare e si può tornare a fare quel che si vuole... Oggi paghiamo la troppa disinvoltura dei mesi estivi».

La politica non sembra molto interessata a riformare l’attuale sistema sanitario...

«L’obiettivo per il futuro sarà quello di non farsi trovare impreparati, come siamo stati con il Covid: pochi posti nelle terapie intensive, scarsa medicina sul territorio, troppi tagli agli ospedali pubblici, poche risorse per la ricerca. Sulla Sanità bisogna ragionare in termini di riserva disponibile, come si fa con la Difesa: un esercito in campo per garantire la pace».

La Sanità come la Difesa

«Esatto. A che cosa servono corazzate, aerei, armi, caserme? Sono un deterrente, una misura preventiva per evitare la guerra, un investimento il cui tornaconto è quello di non doversi attivare. Dobbiamo programmare la nuova sanità con più investimenti in prevenzione e soprattutto ricerca: la logica ospedalocentrica è stata messa definitivamente in crisi dal coronavirus».

La medicina sul territorio si è rivelata strategica nella lotta al Covid: ma per anni l’abbiamo trascurata, trasformando i medici di base in burocrati trascrittori di ricette...

«Oggi c’è grande sfiducia tra medico di base e ospedalieri, mentre tutti dovrebbero far parte dello stesso servizio sanitario nazionale. Qual è la ragione per cui esiste una categoria distaccata di professionisti? Se c’è resistenza tra i diretti interessati si cominci con i giovani, assumendoli nello stesso comparto sanitario dei medici ospedalieri».

In Lombardia ha pesato più che altrove lo squilibrio tra ospedali e territorio?

«L’ospedalizzazione in eccesso è una distorsione del sistema lombardo. C’è stato un momento in cui la Lombardia aveva piu cardiochirurgie dell’intera Francia. Un collega parigino mi disse che loro per lo stesso numero di interventi avevano un terzo del nostro personale».

Ha condiviso la gestione lombarda del Covid?

«No. Sono profondamente deluso. La Lombardia dovrebbe essere la punta di diamante del Paese, il riferimento nazionale. Invece qui è mancata la capacità di dare una linea, i medici sono stati lasciati troppo soli nelle rispettive trincee. E certi ritardi non si spiegano...».

Parla dell’altro vaccino, quello contro l’influenza?

«L’ho fatto lunedì, sono tra i fortunati. Ero in lista d’attesa come migliaia di altri pensionati. Il mio medico ha ricevuto le dosi, ma non bastano per tutti i richiedenti. Sui vaccini contro l’influenza la sanità lombarda ha fatto una figuraccia».

Pessimista sul futuro?

«Io sono ottimista per natura. Altrimenti non sarei qui in trincea, a 92 anni».

 

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