lunedì 20 febbraio 2017

PD, scissi o non scissi…il vero problema è la scissione dall’Italia



da: http://www.glistatigenerali.com/

Il problema non è la scissione tra voi, il problema è la scissione dall’Italia
di Jacopo Tondelli

Va bene, la telenovela è arrivata al punto finale, quello che più o meno tutti ci aspettavamo. Chi doveva andarsene – Michele Emiliano, Roberto Speranza, Enrico Rossi, Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani, e  altri – se ne va; chi doveva “tirare dritto” tira dritto. Questo ad adesso, salvo colpi di scena che a questo punto rasenterebbero il paranormale o, più normalmente, la farsa.

Il Pd si troverà in fretta riconsegnato dall’iter congressuale e dalle primarie nelle mani di Matteo Renzi e dei suoi scalmanati supporter. Renzi, a sua volta, sarà apparentemente “padrone” del suo partito, ma certo quando ci sarà da stilare le liste elettorali non potrà dire troppi no a chi è “rimasto con lui”, a cominciare da Dario Franceschini. Chi è uscito adesso dovrà navigare nel mare aperto, ma invero già abbastanza solcato, di partiti, movimenti, cartelli che da tempo si muovono alla sinistra del pd. Per fare cosa, con quali prospettive, con quali compagni di viaggio? La compagnia si restringerà o si allargherà? E ancora, più in generale, quando toccherà a Paolo Gentiloni di dover “stare sereno”?


Domande alle quali troveremo risposta nei prossimi mesi, mano a mano che il quadro troverà una sua composizione. Ben più importanti però, sono le domande cui, probabilmente e purtroppo, non troveremo risposta. Oppure, la risposta non ci piacerà. Perché è piuttosto chiaro che il punto, ben più importante delle già troppo fortunate carriere della maggioranza dei politici italiani, riguarda il futuro del nostro paese, dentro a un tempo fosco come quello che viviamo e che vivremo. Fa un’impressione mortificante vedere quanto l’intero dibattito del Pd – le “ragioni” di Renzi e le “ragioni” dei suoi avversari – si sia svolto attorno a temi procedurali, a lingue misteriche e non a modelli di sviluppo, a basamenti di idee, a interessi rappresentati. E guardare in faccia la realtà più profonda – fatta di rancori personali e di calcoli sui posti in lista e in parlamento – è perfino peggiore.

Come peggiore è lo scenario che porta il paese e la sua governance pubblica al prossimo futuro. Il congresso “veloce” sembrano scandire inevitabilmente i tempi che porteranno in fretta verso la fine della legislatura, anticipata di qualche mese rispetto allo scadere naturale di febbraio 2018. Con quale legge elettorale, e cambiata su quali assi politici e sulla base di quali accordi? Ad oggi, tutto è impossibile. Dalle urne difficilmente uscirà la possibilità di avere governi stabili, e la sostanziale assenza di prospettiva progettuale in cui viviamo oggi – finita la stagione delle mance renziane, sapientemente erogate con l’obiettivo di vincere il referendum – quindi sarà prorogata. I mercati, che non si sono agitati per la bocciatura della riforma costituzionale, con buona pace di tutte le cassandre renziane, in quel caso si agiteranno davvero. Lo spread tornerà verosimilmente a salire. Il mondo, tutto attorno, con Trump e le incognite delle prossime elezioni in Europa, che ben conosciamo, potrà probabilmente contare su una variabile problematica in più, cioè l’Italia. Ma i nostri eroi pensano a regolare definitivamente i conti tra di loro, sperando ovviamente di non aver sbagliato i propri.

Insomma, ben oltre e ben al di là la scissione all’interno del primo partito italiano per rappresentanza parlamentare, si è giocata in questi giorni, e si giocherà nei prossimi mesi, una partita delicatissima per il paese e per l’Europa, e infine per il mondo. Una partita delicata e rischiosa. I protagonisti non ne sembrano affatto consapevoli. Beati loro, e poveri noi.

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