martedì 5 aprile 2022

La politica non deve occuparsi della gestione di società private neppure se si tratta di Generali

 


 

da: Domani – di Salvatore Bragantini

Il 29 aprile l’assemblea delle Generali rinnoverà il Consiglio di Amministrazione (CdA). Nell’attesa, salgono i contrasti fra il Consiglio uscente, sostenuto da Mediobanca, che presenta una lista incentrata sulla permanenza dell’amministratore delegato, Philippe Donnet, e due imprenditori, Francesco G. Caltagirone e Leonardo Del Vecchio; insieme alla Fondazione CRTorino, essi ne presentano un’altra, proponendo a capo azienda Luciano Cirinà, alto dirigente della compagnia, che l’ha subito licenziato. A ognuno dei due schieramenti si attribuisce il 20 per cento circa dei voti; la partita sarà allora decisa dagli investitori istituzionali. Fortuna che ci pensa la Politica (con la P maiuscola) a pilotare l’esito assembleare, tutelando dalle nequizie dei mercati un nostro asset fondamentale. «Il parlamento accende un faro sulla partita Generali, multinazionale italiana con un potenziale non adeguatamente espresso, un tempo snodo cruciale di un capitalismo di relazione che Mediobanca non ha saputo innovare come invece avrebbe potuto». Munita di tale allure storicizzante, l’oggettiva nota de Il Messaggero, quotidiano edito da Caltagirone Editore, informa che Donnet è stato convocato per il 5 aprile dalla Commissione parlamentare sul settore bancario e finanziario, presieduta da Carla Ruocco, M5s. La chiara necessità di battere in breccia la concorrenza deve aver indotto il Messaggero a scordare di far capo, tramite Caltagirone Editore, allo stesso Caltagirone che vuol cacciare Donnet; non è un omonimo. Il distacco del quotidiano dai temi che toccano l’editore ha spazi

di miglioramento, così come l’attenzione della presidente Ruocco ai profili istituzionali. Il destino della compagnia triestina ha grande interesse per l’Italia, ma Ruocco va ben oltre, scendendo in campo; non da arbitro, che pure non va, ma quasi da giocatrice, rischia di sembrare la dodicesima ma di una squadra. Qui ci aiuta il premuroso Messaggero, per il quale Ruocco, premessa l’opportunità di approfondire «le recenti dinamiche di governance e azionarie», chiede (o intima) a Donnet di riferire sulle attività sfociate nella presentazione della lista del CdA uscente. La sua relazione scritta, da inviare almeno 48 ore prima dell’audizione, dovrà includere una messe di dati sul titolo e sulla gestione; «la lettera della Commissione si spinge a voler mettere «in evidenza gli obiettivi in termini di dividendi distribuibili nonché le eventuali scelte strategiche relative a processi di crescita per linee interne o per linee esterne, nonché di possibili cessioni di attività, partecipazioni o altro». Quindi si arriva a voler monitorare «le strategie future, scrive un perplesso Messaggero.

Non paga del ruolo di azionista di controllo delle Generali che si attribuisce, Ruocco si fa anche responsabile del personale, chiedendo a Donnet perché ha licenziato il “ribelle” Cirinà anziché metterlo in aspettativa. Ruocco stranamente non punta la lente sul famigerato “prestito titoli” sul 4 per cento di Generali, che ha rafforzato a base di steroidi la posizione di Mediobanca, elevandola al 17 per cento; certo, in questa contesa, tutti ricorrono a piccole astuzie per anabolizzare i muscoli.

L’invasione della politica

Ci sarà ancora occasione di parlare della “purezza” degli editori, un vecchio tema solo esacerbato dall’attuale tendenza a mischiare senza ritegno contenuti veri e pezzi pagati, ove difetta perfino un barlume di intelligenza. Atteniamoci ora all’invasione di campo di Ruocco, essa forse ricorda l’impeachment per il presidente Sergio Mattarella ventilato dal suo partito nel 2018, ma ha certo rimosso i moniti che questi scrisse l’anno dopo, “bollinando” la sua Commissione. In una lettera inviata a Camera e Senato, egli rilevava come «la Commissione possa “analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento” (corsivo quirinalizio, ndr). Queste indicazioni, così ampie e generali, non devono poter sfociare in un controllo dell’attività creditizia, sino a coinvolgere le stesse operazioni bancarie, ovvero dell’attività di investimento nelle sue varie forme.

Occorre considerare la natura privata degli enti interessati la cui attività costituisce esercizio della libertà di iniziativa economica riconosciuta e garantita dall’articolo 41 della Costituzione». Incurante del fastidio certo procurato, anche ai grillini, dai grilli parlanti, Mattarella scriveva che la Commissione potrebbe condizionare «le banche nell’esercizio del credito, nell’erogazione di finanziamenti o di mutui e le società per quanto riguarda le scelte di investimento», esulando dai criteri costituzionali. Egli paventava infine intromissioni nella competenza delle autorità di vigilanza, col rischio che la Commissione si sovrapponga «quasi che si trattasse di un organismo ad esse sopra ordinato - all’esercizio dei compiti propri di Banca d’Italia, Consob, Ivass, Covip, Banca centrale europea». Chiedo scusa per la lunga citazione, ma la saggezza quirinalizia aveva tutto previsto. La sgangherata convocazione della presidente Ruocco squalifica il parlamento, e ben motiva le dimissioni per protesta dalla Commissione del deputato Luigi Marattin.

Dov’è la Consob?

Tanto attivismo al di fuori del proprio ambito non pare giustificato nemmeno dalla catalessi in cui pare sprofondata la Consob, solo saltuariamente scossa da iniziative sulle criptovalute care al presidente Paolo Savona. Arare campi altrui lasciando incolto il proprio è un vecchio vizio. Se Ruocco volesse davvero esplorare temi nuovi, di propria competenza, guardi alla concorrenza nel settore finanziario, specie alle commissioni incassate dalle banche sulla vendita di prodotti propri, nonché agli stratosferici ricavi percepiti nel private banking & wealth management. Sono cifre spiegabili solo con scarsa concorrenza, collusioni, o cartelli più o meno formalizzati. Se una Commissione parlamentare invade leggermente ambiti cui è estranea, cosa accadrà per decisioni su cui il governo ha diretta responsabilità? Ad esempio sulle nomine nelle imprese pubbliche, avvicinandosi la stagione delle assemblee.

Come ha qui scritto Alessandro Penati, partiti e governi si sono sempre concentrati sul “risiko” delle nomine, senza dare indirizzi al Cda, né chieder conto del modo in cui ha adempiuto al mandato. Il mercato finanziario italiano ha tanti problemi, evitiamo di crearne di nuovi che indurrebbero gli investitori esteri a votare con i piedi; speriamo che non venga in mente a Ruocco di convocare anche i responsabili di Mps, Tim, Open Fiber, Ilva, Ita etc.

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