Un vero e proprio virtuale regime di cogestione costituisce una delle principali cause del declino di questo settore strategico della nostra vita nazionale
Non molti italiani sanno che al piano terreno del ministero dell’Istruzione, in viale Trastevere, non ci sono uffici e impiegati come in tutti gli altri piani. No, nelle stanze di quel piano si trovano — non si riesce a capire bene autorizzati quando e da chi — acquartierati i numerosi sindacati della scuola che li occupano con tanto di targhe, manifesti vari e quant’altro. Insomma un pezzo di edificio pubblico — pubblico come pochi — è stato di fatto dato in concessione ad alcune associazioni private (che tali sono i sindacati) perché lo usino a loro discrezione.
La presenza fisica concreta dei sindacati nel cuore dell’amministrazione della scuola è il simbolo dello strapotere che essi esercitano da decenni nel campo dell’istruzione, strapotere che ha dato vita a un vero e proprio virtuale regime di cogestione e costituisce una delle principali cause del declino di questo settore strategico della nostra vita nazionale. Tanto più merita perciò di essere segnalata positivamente la decisa presa di posizione della ministra Lucia Azzolina che in un’intervista di ieri a Concita De Gregorio su Repubblica ha coraggiosamente denunciato la «resistenza strenua al rinnovamento» dei sindacati stessi e i loro «atteggiamenti che mirano a conservare potere e rendite di posizione nell’interesse non di molti ma di alcuni».
Parole che valgono in generale ma che con ogni evidenza traggono spunto da quanto sta accadendo in queste settimane riguardo l’annunciato ritorno a scuola di settembre . A questo proposito la questione della sicurezza (anche quella legale dei dirigenti scolastici) è fuor di dubbio una questione cruciale. Che si presta però fin troppo bene ad essere oggetto di agitazione a base di facili denunce di ritardi e contraddizioni, di demagogiche richieste ultimative : così come per l’appunto stanno incessantemente facendo da tempo i sindacati della scuola. I quali si guardano bene tuttavia — come del resto i partiti di opposizione che su questo terreno non sono loro da meno — di indicare che cosa farebbero loro al posto della titolare del Ministero, quali efficaci meccanismi securitari a cui nessuno ha mai pensato essi adotterebbero.
La verità è che in una situazione sanitaria che muta di settimana in settimana, nella quale la parola decisiva non può che essere riconosciuta ai medici e agli epidemiologi, e in cui una vera e massima sicurezza potrebbe essere assicurata verosimilmente solo da misure (spazi, distanziamenti, controlli medici, aumento rilevantissimo dei mezzi di trasporto, ecc,) di fatto assolutamente inattuabili in tempi brevi, in una situazione del genere non sembrano esserci alternative: o si decide semplicemente di chiudere le scuole o si accetta un certo inevitabile coefficiente di rischio insieme a una serie di disagi e di incognite più o meno gravi (la didattica a distanza ad esempio). Ma davvero non mi pare che dovrebbero esserci dubbi di fronte all’ alternativa drammatica della perdita di un intero anno scolastico.
Che in cambio dell’impegno in una
situazione così difficile il mondo della scuola chieda allo Stato un
riconoscimento economico è più che ammissibile. Ma che invece si colga
qualsiasi pretesto per opporsi a tutto, così come stanno facendo i sindacati, è
la conferma della linea che essi perseguono ormai da decenni. Una linea
distruttiva ispirata al più gretto corporativismo, indifferente a ogni reale
tematica educativa e pedagogica, interessata come suo massimo obiettivo a
escludere lo strumento del concorso per l’ingresso nei ruoli, una linea che
all’accertamento del merito non cessa di preferire l’appiattimento egualitario
delle retribuzioni. Il tutto per conservare ad ogni costo, come ha detto il
ministro Azzolina, il proprio potere d’interdizione e di consentire a chi
dirige quegli stessi sindacati di continuare a sentirsi i padroni della scuola.
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