Questo è link della pagine di ‘Repubblica’
dedicate ai 50 anni di The Beatles. Qui, riporto uno degli articoli
http://www.repubblica.it/persone/2012/09/27/news/beatles_liverpool_anniversario_storia-43411914/?ref=HRESS-1
La
rivoluzione culturale
I
Beatles hanno svegliato il mondo
di Federico
Ballanti
Se utilizzassimo la tecnica del timelapse,
oggi in voga su internet e alla tv, che consiste nel raccontare in pochi
secondi o minuti, attraverso il montaggio iperveloce di immagini, eventi
svoltisi in tempi estremamente lunghi (come lo sbocciare di un fiore o il
movimento del cielo stellato) potremmo raccontare tutti gli anni Sessanta con
qualche foto dei Beatles intervallate da poche altre. Per esempio, una
istantanea di Dylan, di Kennedy e di Luther King, passando per Monterey e
Woodstock e terminando con Che Guevara e Charlie Manson. Ed instantanee dal
Vietnam, dalla Luna, da Praga e dalla Cina, dalle università americane ed
europee. Gli anni Sessanta sarebbero racchiusi tra la nascita e la fine dei
Beatles. Ma raccontare oggi i Beatles è compito non semplice. Occorrerebbe
viaggiare nel tempo per recuperare le dinamiche che hanno cambiato una
generazione, per sollevare un velo sul mistero di un cambiamento talmente
radicale che è ai limiti dell'incomprensibile, soprattutto dopo tanti anni.
Occorrerebbe spiegare come quattro ragazzi di Liverpool, cantando delle canzoni
che oggi ci appaiono leggere anche se piene di vita, abbiano innescato un
processo di autocoscienza collettiva in una generazione che di colpo non aveva
più barriere geografiche e si scopriva planetaria, mondializzata attraverso dei
riferimenti culturali e politici che superavano censure e negazioni, animata
dalle stesse proiezioni desideranti, dagli stessi sogni collettivi: questo il
vero problema di una
storicizzazione dei Beatles. Ma non solo. La dinamica
industriale e commerciale innescata ha creato, rivelandolo, un mercato enorme,
quello della gioventù e i suoi prodotti derivati. Esperimenti di marketing oggi
pienamente maturi, dunque, si sono intrecciati ai movimenti culturali e
politici in gestazione. E questo perché in quei quattro ragazzi di Liverpool si
sono specchiati milioni di ragazzi nel mondo intero, migliaia di aspiranti
musicisti che come loro avevano qualcosa da dire. Ed ancora: una intera classe
politica planetaria ha dovuto tenere conto dell'onda suscitata dai Beatles, in
due-tre anni sessualità, diritti politici, libertà di azione e di pensiero,
parità uomo-donna, uso delle droghe, ecologia, mixità culturale, nuove
religioni, sono divenuti ovunque movimenti irreversibili spesso innescati da
pensieri che attraversavano le frontiere con la musica. Come dirà una canzone
hippy del 1967, "attraverso le nazioni c'è la stessa vibrazione... una
nuova generazione vuole nuove spiegazioni". Un fenomeno, si dice spesso
sia dei Beatles che degli anni Sessanta, irripetibile. Il concorso di
circostanze, il momento storico, il confluire di tutta una serie di fattori,
etc, etc.. Anche ad Oxford si sentono impotenti. L'inizio della voce
"Beatles, the" nel "The Oxford Companion to Popular Music"
dichiara la loro dimensione particolare: "Gruppo della scena rock
britannica. Ogni storia o indagine sociologica della Gran Bretagna degli anni
Sessanta dovrebbe includere una sezione dedicata al fenomeno Beatles. Sono chiaramente
il più importante gruppo della storia della musica pop, la loro influenza è
incalcolabile" (Gammond, Peter. The Oxford Companion to Popular Music.
Oxford: Oxford University Press, 1993, pag. 46). Notare "ogni storia o
indagine sociologica della Gran Bretagna", è quello il punto. Hanno
oltrepassato le frontiere di genere (la musica) per entrare nel magma sociale
generale. Non solo nel Regno Unito ma nel mondo intero, dobbiamo ormai
aggiungere. Per raccontare quella influenza e dare il polso dell'epoca,
potremmo iniziare ricordando alcune reazioni di casa nostra, un misto di
disprezzo e lontananza che emergono sulla stampa italiana e registrano lo
sconcerto di una classe intellettuale bloccata verso il passato. Per Pasolini e
Strehler i Beatles sono incomprensibili, privi di fascino, il loro enorme
successo un mistero. Chi li paragona a Peppino di Capri, chi come Milva non
comprende ma apprezza. La tournèe italiana del 1965 vede l'irrompere dei
Beatles su un paese in bianco e nero, bloccato, a vent'anni dalla fine della
guerra perduta, in procinto di entrare nel secondo tempo di una guerra civile
mai terminata. E a Roma e Milano l'arrivo dei Beatles provoca le prime
"manifestazioni", migliaia di giovani che forzano i cordoni della
polizia, le prime manganellate, i primi arresti. Una sorta di prova generale,
dopo Tambroni e prima della Facoltà di Architettura a Roma. I giovani italiani,
nonostante un perbenismo soffocante e un sistema dell'informazione paternalista
e autoritario, si mostreranno più intelligenti dei loro padri e tutori. Nel
giro di pochi anni, dal 67 al 77, riusciranno a tutti i livelli a generare il
cambiamento. Attraverso il dolore e la sofferenza, ma anche attraverso la gioia
e la rivoluzione, come in tutto il mondo nello stesso momento. Antonioni, che
include i beats londinesi in "Blow Up", nello scena del concerto
degli Yardbirds immobilizza i ragazzi-spettatori come degli zombie senza vita,
dandoci un giudizio estremamente conservatore e carico di disprezzo su una
generazione che avrebbe cambiato il mondo, o almeno avrebbe tentato di farlo,
in parte riuscendoci. Tutto ciò rientra nelle dinamiche di assimilazione o
rifiuto politico che agitano il mondo simbolico. Le società di massa sono al
tempo stesso articolate e disarticolate dai prodotti culturali. Il fenomeno dei
Beatles può essere letto come una possibile articolazione (creazione di mercati
vergini, colonizzazione dell'anima) o anche come una disarticolazione delle
società passate (rottura degli schemi di relazione tra padri e figli, rottura
delle gerarchie sociali, internazionalizzazione dei mercati e delle mitologie
nazionali, in una parola una sorta di mondializzazione ante litteram). O come
una autonoma auto-ristrutturazione a partire di prodotti industriali, come in
effetti è stato. Il mondo giovanile ha usato i Beatles per cambiare le regole
del gioco. Se l'industria culturale è nata per colonizzare il mondo, rendendo
merce i sogni e organizzandoli in linee di produzione seriale (film, musica,
libri, giornali, tv, etc.) dobbiamo anche ammettere che i Beatles sono stati
tra i prodotti più riusciti di questa industria. In più, sono arrivati sulla
scena quando le stelle del nuovo Olimpo della cultura di massa riempivano
schermi e copertine e facevano delirare le masse. Tra Marlon Brando, Elvis
Presley, Brigitte Bardot, tra scrittori e principesse, sportivi e astronauti,
il nesso, in quegli anni Cinquanta e Sessanta, era la giovinezza e (spesso) la
bellezza. I Beatles rientrano in entrambe le categorie e diventano, anche per
questo, star planetarie. Gli eroi son tutti giovani e belli, cantava Guccini.
Ma le motivazioni dei Beatles cambiano in itinere. Iniziano quasi per gioco e
diventano coscienze planetarie di una gioventù in evoluzione. La comunità
giovanile aveva già eletto due simboli tra quelli che si affacciavano sulla
tribuna delle celebrità, Elvis, re del rock, e Dylan, che con Martin Luther
King era alla marcia di Washington del 1963, portavoce politico: in aggiunta i
giovani hanno plebiscitato i Beatles come icone. Si sono appropriati della loro
musica, della loro immagine, delle loro parole, hanno destrutturato il fenomeno
Beatles riarticolandolo ai propri fini. In una generazione che rifiutava
l'identificazione con i padri (che avevano scatenato due guerre mondiali) e
che, come Amleto, oscillava tra immagini di sé estremamente contraddittorie, i
Beatles arrivano a proporre un'immagine di fuga, un modello sufficientemente
compatibile sia con il desiderio di rottura e cambiamento dei giovani che con
un ideale di autorealizzazione che, nonostante i suoi aspetti antisociali per
l'epoca, è ancora ampiamente dentro il recinto della famiglia e della società
borghese. Ma il vero colpo lo fa l'industria culturale. Fabbrica di sogni, se
vogliamo, o, con Marx, produttrice di consumatori per i propri prodotti,
attraverso i Beatles riesce a toccare le corde profonde di una enorme massa di
giovani, intercetta quel bisogno di leggerezza e di cambiamento, riesce a
guidarlo attraverso la musica, come prima aveva fatto con il cinema e le sue immagini
tra sogno e realtà. I Beatles sono, senza volerlo, il colpo perfetto. Dopo di
loro l'industria musicale moltiplica i fatturati ed il potere di persuasione,
rende necessarie macchine portatili per restare sempre in contatto con il suono
dell'anima. I giovani di tutto il mondo scoprono la musica come un destino.
Ancora oggi negli auricolari di milioni di abitanti delle attuali società
policulturali essa canta una mitologia planetaria lungi dall'essere esaurita
nonostante il crollo dell'industria musicale del dopo Napster.
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