da:
Il Fatto Quotidiano
Povero Enzo Tortora, dalla
galera alla fiction
di
Nanni Delbecchi
Il caso Tortora non è stato solo una
tragica vicenda umana; è stato il caso giudiziario con cui la giustizia
italiana ha toccato il suo punto più basso. Affiliazione alla camorra, consumo
e spaccio di cocaina: con queste accuse enormi e infamanti, che inducono il
pubblico ministero Marmo a definirlo “un cinico mercante di morte” il
giornalista e conduttore di “Portobello” viene prelevato e arrestato all’alba
del 17 giugno 1983. Un abbaglio mostruoso, ma anche la punta di un iceberg
spiegabile con l’abuso dei pentiti di mafia.
Per fermarci a ciò che passa il convento
televisivo, siamo ancora in attesa di un’inchiesta o di un documentario capaci
di spiegare come tutto questo sia stato possibile e, per fare un esempio, dove
fossero allora i garantisti che oggi si fanno in quattro per salvare i politici
indagati (allora, il Partito Radicale fu l’unico a sostenere Tortora).
Ma qui siamo in Italia, terra di poeti, di
navigatori e di sceneggiati. Dove prima ti legano alla colonna infame e poi, se
si scopre che eri innocente, al massimo ti fanno una fiction. Nella miniserie “Il
caso Tortora” andata in onda su Raiuno si sono viste ricostruzioni che
oscillavano tra il raccapricciante e il surreale. L’avvocato
Raffaele Della
Valle annichilire impotente al cospetto della sufficienza e della sommarietà
dei pm che avevano sbattuto in galera il suo assistito senza uno straccio di
prova; e poi gli stessi inquirenti prendere per oro colato le dichiarazioni
dello schizofrenico Giovanni Pandico, di Pasquale Barra detto o’animale, di Gianni Melluso, alias
Gianni il bello.
Strana fiction, “Il caso Tortora”; un po’ mette
i brividi e un altro po’ fa venire il latte alle ginocchia. Perché invece di
indagare o scavare, preferisce puntare sulla collaudata oleografia degli
sceneggiati targati Rai. Il ruolo di Tortora è affidato a un improbabile Ricky
Tognazzi, grave e baritonale come se si fosse confuso di ruolo, e stesse
interpretando Alberto Lupo. E poi, il carcere che diventa luogo di martirio e redenzione,
Tortora che entra in crisi di coscienza, comprende quanto sia lastricata di
cinismo la strada del giornalismo, legge ai carcerati Dostoevskij, chiudi gli
occhi a un compagno lasciato a marcire in cella nonostante la malattia.
Meglio di Don Matteo e del Dottor Manson
messi assieme. E siccome siamo in una fiction televisiva, impossibile sfuggire
agli implacabili flashback sui sogni di gloria e sui castelli in aria della
giovinezza. E siccome siamo su una fiction di Raiuno, dall’agiografia al
fotoromanzo il passo non potrebbe essere più breve. Ecco la tormentata
relazione con la giovane compagna (interpretata da Bianca Guaccero), tenuta
nell’ombra per non turbare i figli avuti dal matrimonio. Lettere, sospiri,
lacrime per l’improvvisa separazione; ma anche il ricordo dei momenti felici,
le passeggiate mano nella mano in riva al mare della Liguria: “Ogni volta che
vedo il mare mi viene voglia di baciarlo. Proprio come mi capita con te…”. Più
modestamente, ogni volta che vedo una fiction così mi viene voglia di dire due
paroline agli sceneggiatori.
Enzo Tortora: dalla galera al santino senza
passare dal via. Non che ci facessimo grandi illusioni; ma dopo aver visto una
miniserie così abbiamo la certezza che i torti subiti non vengono riscattati
dopo la morte. Più probabile che dopo il danno arrivi la beffa.
foto
da: http://www.blogapuntate.it/
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