martedì 2 ottobre 2012

Raiuno, fiction Enzo Tortora: tra brividi e…latte alle ginocchia


da: Il Fatto Quotidiano

Povero Enzo Tortora, dalla galera alla fiction
di Nanni Delbecchi

Il caso Tortora non è stato solo una tragica vicenda umana; è stato il caso giudiziario con cui la giustizia italiana ha toccato il suo punto più basso. Affiliazione alla camorra, consumo e spaccio di cocaina: con queste accuse enormi e infamanti, che inducono il pubblico ministero Marmo a definirlo “un cinico mercante di morte” il giornalista e conduttore di “Portobello” viene prelevato e arrestato all’alba del 17 giugno 1983. Un abbaglio mostruoso, ma anche la punta di un iceberg spiegabile con l’abuso dei pentiti di mafia.
Per fermarci a ciò che passa il convento televisivo, siamo ancora in attesa di un’inchiesta o di un documentario capaci di spiegare come tutto questo sia stato possibile e, per fare un esempio, dove fossero allora i garantisti che oggi si fanno in quattro per salvare i politici indagati (allora, il Partito Radicale fu l’unico a sostenere Tortora).
Ma qui siamo in Italia, terra di poeti, di navigatori e di sceneggiati. Dove prima ti legano alla colonna infame e poi, se si scopre che eri innocente, al massimo ti fanno una fiction. Nella miniserie “Il caso Tortora” andata in onda su Raiuno si sono viste ricostruzioni che oscillavano tra il raccapricciante e il surreale. L’avvocato
Raffaele Della Valle annichilire impotente al cospetto della sufficienza e della sommarietà dei pm che avevano sbattuto in galera il suo assistito senza uno straccio di prova; e poi gli stessi inquirenti prendere per oro colato le dichiarazioni dello schizofrenico Giovanni Pandico, di Pasquale Barra detto o’animale, di Gianni Melluso, alias Gianni il bello.

Strana fiction, “Il caso Tortora”; un po’ mette i brividi e un altro po’ fa venire il latte alle ginocchia. Perché invece di indagare o scavare, preferisce puntare sulla collaudata oleografia degli sceneggiati targati Rai. Il ruolo di Tortora è affidato a un improbabile Ricky Tognazzi, grave e baritonale come se si fosse confuso di ruolo, e stesse interpretando Alberto Lupo. E poi, il carcere che diventa luogo di martirio e redenzione, Tortora che entra in crisi di coscienza, comprende quanto sia lastricata di cinismo la strada del giornalismo, legge ai carcerati Dostoevskij, chiudi gli occhi a un compagno lasciato a marcire in cella nonostante la malattia.
Meglio di Don Matteo e del Dottor Manson messi assieme. E siccome siamo in una fiction televisiva, impossibile sfuggire agli implacabili flashback sui sogni di gloria e sui castelli in aria della giovinezza. E siccome siamo su una fiction di Raiuno, dall’agiografia al fotoromanzo il passo non potrebbe essere più breve. Ecco la tormentata relazione con la giovane compagna (interpretata da Bianca Guaccero), tenuta nell’ombra per non turbare i figli avuti dal matrimonio. Lettere, sospiri, lacrime per l’improvvisa separazione; ma anche il ricordo dei momenti felici, le passeggiate mano nella mano in riva al mare della Liguria: “Ogni volta che vedo il mare mi viene voglia di baciarlo. Proprio come mi capita con te…”. Più modestamente, ogni volta che vedo una fiction così mi viene voglia di dire due paroline agli sceneggiatori.
Enzo Tortora: dalla galera al santino senza passare dal via. Non che ci facessimo grandi illusioni; ma dopo aver visto una miniserie così abbiamo la certezza che i torti subiti non vengono riscattati dopo la morte. Più probabile che dopo il danno arrivi  la beffa.


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