da: Il Fatto Quotidiano
Tremonti
e la norma ad aziendam, così il ministro di B. salvò il truffatore Saggese
La
società dell'amministratore delegato di Tributi Italia, che ha sottratto venti
milioni di euro ai contribuenti, fu aiutata da un decreto del governo di Silvio
Berlusconi
di Sara
Nicoli
L’hanno chiamato il “sistema Saggese”. E
non tanto per l’enorme “privatizzazione” di denaro pubblico che l’ad di Tributi
Italia, appunto, Giuseppe Saggese, è riuscito a mettere insieme nel corso di
tutta l’onorata carriera. È il reticolo di connivenze e protezioni politiche
che ha avuto la società negli anni a rappresentare un vero “scandalo nello
scandalo” più volte denunciato in sede parlamentare e sempre – puntualmente –
coperto. O lasciato cadere nel nulla come le risposte alle quattro
interrogazioni parlamentari che i Radicali hanno presentato nel corso di tre
anni e che hanno avuto un’unica – insoddisfacente – risposta quando ormai il
governo Berlusconi era sull’orlo dell’abisso (20 giugno 2011). Ovviamente, non
è un caso.
Val la pena di ricostruire alcuni passaggi
parlamentari, di cui la Tributi Italia è stata protagonista, per dare il senso
del vischioso sistema di connivenze eretto a difesa della società da parte del
governo Berlusconi. Il primo avvenimento, d’altra parte, è stato eclatante. E
ha riguardato una vera e propria norma “ad aziendam” (non a caso ribattezzata “norma
Tributitalia”), inserita nel decreto fiscale 2010, firmato dal ministro
Tremonti, che ha consentito alla società di Saggese di utilizzare la legge
Marzano per il concordato delle grandi imprese in crisi (la stessa procedura
utilizzata per Alitalia, giusto per capire le dimensioni). Era l’articolo 3,
comma 3 del provvedimento, grazie al quale Tributi Italia ha avuto accesso alle
procedure di
ristrutturazione economica e finanziaria, evitando la bancarotta e continuando a svolgere attività di accertamento e riscossione dei tributi locali. In più di 400 comuni. La parte più scottante del comma è infatti quella in cui si dispone “la persistenza delle convenzioni vigenti con gli enti locali immediatamente prima della data di cancellazione dall’albo”: Tributi Italia, infatti, aveva in corso una procedura di cancellazione che, però, come ha ricordato anche ieri Rita Bernardini, ha avuto un iter molto lungo e sofferto in commissione Finanze di Montecitorio.
ristrutturazione economica e finanziaria, evitando la bancarotta e continuando a svolgere attività di accertamento e riscossione dei tributi locali. In più di 400 comuni. La parte più scottante del comma è infatti quella in cui si dispone “la persistenza delle convenzioni vigenti con gli enti locali immediatamente prima della data di cancellazione dall’albo”: Tributi Italia, infatti, aveva in corso una procedura di cancellazione che, però, come ha ricordato anche ieri Rita Bernardini, ha avuto un iter molto lungo e sofferto in commissione Finanze di Montecitorio.
“Come già abbiamo ricordato
nell’interrogazione del 13 aprile del 2010 – racconta la Bernardini – c’erano
persone interne alla commissione di sorveglianza sugli enti di riscossione, che
faceva gli interessi diretti della famiglia Saggese”. E non solo lì, certo. Il
dicastero dell’Economia era retto da Giulio Tremonti, componente anche della
commissione Finanze della Camera dove, tuttavia, non andava mai, visto che il
lavoro vero di calendarizzazione delle discussioni (quello più delicato per
stabilire le priorità) era nelle mani del presidente Gianfranco Conte, anche
lui Pdl. Fin qui, in apparenza, nulla di strano. Ma è leggendo i resoconti dei
lavori nella Commissione, come d’altra parte, i verbali delle riunioni tenute
al ministero dell’Economia e delle Finanze della Commissione che gestisce
l’albo dei riscossori che si scopre come sia stato tortuoso il cammino per la
cancellazione dall’albo di Tributi Italia. E che l’Anci, l’associazione dei
Comuni, non è sempre stata presente alle riunioni dell’Anacap (l’associazione
di categoria dei riscossori). E che – soprattutto – tra i componenti di
quest’ultima, che ha voce in capitolo sulla cancellazione, ci fosse Pietro Di
Benedetto che fa l’avvocato e difende proprio Tributi Italia. L’avvocato di
famiglia successore del primo, storico legale della società dall’epoca della
prima denuncia per frode, datata 1999: Niccolò Ghedini.
Fino al 2010, la società aveva speso non
meno di 6 milioni di euro (come si legge nell’interrogazione parlamentare del
2010) per pagare i suoi consulenti legali. Tasse dei cittadini? Alla luce degli
ultimi fatti, la domanda è più che lecita. Insomma, quel fiume di denaro che
anno dopo anno scompariva dopo essere stato prelevato dalle tasche dei
contribuenti, era un po’ sotto gli occhi di tutti. Ma il “sistema Saggese”
proteggeva la società, in barba alle richieste di indagini ispettive e
trasmissione degli atti alla Corte dei conti, come minacciato da Idv e
Radicali, per configurare un danno erariale.
“Volevamo uno strumento legislativo che
potesse garantire innanzitutto i cittadini contribuenti – sostiene infine la
parlamentare radicale – perché non è fallita solo Tributi Italia, è fallito un
intero sistema. Il sistema della riscossione dei tributi va ora ripensato in
modo da assicurare l’interesse generale”.
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