giovedì 18 ottobre 2012

Pd, Massimo D’Alema (ma non solo) e Matteo Renzi


E’ nella natura: si nasce, si cresce, s’invecchia, si muore. Nei vari momenti della vita, personale e professionale, vediamo il susseguirsi delle generazioni. Non si capisce perché in politica non debba essere la stessa cosa.
Pertanto: il ricambio ci dev’essere. Perché è nella natura delle cose.
Perché è accettabile che si sbagli a 20 anni. Anche a 30. Non è accettabile sbagliare per 20 anni, in 20 anni, da 20 anni.
Personalmente, ritengo che per qualsiasi carica istituzionale non vi debbano essere più di due mandati. Le persone che hanno raggiunto questo limite possono continuare a occuparsi di politica mettendo le capacità, l’esperienza, accanto a quelle dei più giovani cui cedono il posto.
Però…(c’è sempre un però nella vita)...
Penso che abbiamo ormai capito in molti che l’età anagrafica non è certo garanzia di onestà, intelligenza, capacità. E che non esistano riforma elettorale o altro arzigogolo tecnico che sopperisca alla qualità della persona.

Detto quanto sopra, anche leggendo le uova di giornata di Renzi, pardon: le ultime dichiarazioni che saranno pubblicate domani, mi pare da Panorama, il linguaggio, lo “stile”, il modo è di chi pensa e si muove da padrone. E, allora, continuo a “non capire” (in realtà si comprende benissimo) perché Renzi stia nel PD.
Cosa succederà se dovesse vincere le primarie, non lo decide Matteo Renzi. Perché il Partito Democratico ha una struttura, uno statuto e non è, come il Pdl, il partito di “uno”.


Il posto naturale (in senso politico) di Matteo Renzi è nel Pdl. Solo che…nel partito di Berlusconi troverebbe il sostegno di questi ma una continua minaccia da parte delle comparse che circondano il vecchio nano puttaniere. Ergo: meglio stare nel Pd dove vi è un “vecchio” apparato, ma la concezione comunista di un tempo ha lasciato spazio a una maggiore flessibilità. Certo: i “vecchi” non sono abituati a sentirsi “sminuire”. E quindi reagiscono. A torto o a ragione, con lucidità o puntando i piedi.


Ho visto D’Alema ieri sera a ‘Otto e mezzo’. Non sa recitare. Era evidente l’amarezza. Si può ovviamente ironizzare, gioire o provare altre sensazioni su Massimo D’Alema. Ma se andiamo oltre le antipatie o simpatie, se proviamo a considerare i ragionamenti, concordo in gran parte con quanto ieri sera ha detto da Lilli Gruber.
Dissento però in maniera totale sul giudizio complessivo dell’operato del centro-sinistra.  Ed è per questo che, al momento, non sono interessata a votare alle primarie del Pd né, tanto meno, voterei questo partito alle prossime elezioni.

E vero, come sostiene D’Alema, che il problema nel centro-sinistra è sempre stato la divisione all’interno della coalizione. Ma non è questo il punto principale della questione. Il punto è sempre il solito.
Il centro-sinistra – pur in 20 anni di regime Berlusconi e di modello culturale-politico del berlusconismo - ha avuto tempo e modo per proporre un modello culturale-politico alternativo. Non solo per divisioni interne, ma per incapacità ideale e progettuale, per assenza di contenuti, per una vecchia logica dell’accordicchio, del compromesso al ribasso anziché della mediazione per raggiungere una strategia, non ha portato cambiamenti sostanziali nel paese. Non ha dato segni di svolta.

Per quanto mi riguarda, nulla cambierà con Matteo Renzi. Innanzitutto, come
dimostrano le migliaia di righe che ho scritto nel corso degli anni tra una piattaforma di blog e l’altra (pinkpanther, splinder, ora blogger): non credo nell’uomo solo al comando. Anzi: l’aborro.
Non sarà Matteo Renzi a invertire la rotta per il centro-sinistra. Un’inversione di rotta di cui, sia chiaro, non me ne fregherebbe una cippa se non pensassi che il paese abbia bisogno di una classe politica di centro-sinistra che riesca a coniugare rigore, efficienza, con stato sociale. Ma, se non può essere Renzi può essere il “vecchio” Bersani? Di certo, non è nella natura ideale e politica del centro-destra, Casini incluso.

Insisto: manca un vero partito socialdemocratico. Certo. Dobbiamo intenderci su cosa sia, su come debba funzionare, su quali debbano essere i contenuti.
Renzi non sa che cazzo sia un partito socialdemocratico. Ovvio che…posso sbagliarmi. Non deve far altro che dimostrarlo. Non tanto a me che sono “anziana”, priva di romanticismi politici e, fondamentalmente: un cane sciolto. Lo dimostri a quella parte di italiani che andrà a votare per le primarie che avrebbe una mezza intenzione di votare per il Pd.

A oggi, lo dimostra l’ultimo uovo di giornata di Renzi, il sindaco di Firenze ha più spaccato che costruito. Nella migliore tradizione della sinistra-centro. C’è poi il commento alla decisione di D’Alema, che dice chiaramente cosa abbia fatto finora Renzi: “ora parliamo di contenuti”.
Che significa, implicitamente, che fino a ieri non l’ha fatto. E perché? Cosa glielo ha impedito? D’Alema?

I contenuti – seri, concreti, non quattro macro idee in un pdf - continueranno a essere assenti. E se così non fosse, perché non confrontarsi con quelli di D’Alema e Veltroni. Se non hanno contenuti…sgamiamoli su questo.
Eh…no.
Matteo Renzi non vuole che la vecchia dirigenza si ricandidi non solo per un’ovvia pretesa di ricambio generazionale, ma perché se li avesse tra i piedi, si noterebbero alcune differenze. E D’Alema e Veltroni con tutti i limiti che hanno dimostrato potrebbero far emergere i limiti di Renzi. Oltre a quelli già visibili.
Vi è però da dire che, diversamente da Renzi – quanto meno cosi pare probabile – i Veltroni e D’Alema non sono in grado di spostare i voti dal centro-destra. Matteo Renzi, proprio perché “erede naturale” di Silvio Berlusconi, sì.
A questo punto non rimane che capire una cosa.
Matteo Renzi vuole prendere i voti dal centro destra per vincere le elezioni. Obiettivo legittimo. Direi: doveroso.
Per fare cosa? Perché questo ancora non l’ho capito.
Sarà perché sono “anziana”. Ma sarà anche perché non sono predisposta a essere catturata dai nullisti e dai caccia balle. 

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