mercoledì 9 novembre 2011

Umberto Galimberti: L’ospite inquietante / 3


Le pagine di questo libro non indicano un rimedio di facile e immediata attuazione. E già questa ammissione di impotenza la dice lunga sulla natura del disagio che lo ripeto, non è esistenziale ma culturale. Ho ritenuto comunque che andassero scritte se non altro per far piazza pulita di tutti i rimedi escogitati senza aver intercettato la vera natura del disagio dei nostri giovani che, nell’atmosfera nichilista che li avvolge, non si interrogano più sul senso della sofferenza propria o altrui, come l’umanità ha sempre fatto, ma - e questa, come ci ricorda Gunther Ander, è un’enorme differenza - sul significato stello della loro esistenza, che non appare loro priva di senso perchè costellata dalla sofferenza, ma al contrario appare insopportabile perchè priva di senso. La negatività che il nichilismo diffonde, infatti, non investe la sofferenza che, con gradazioni diverse, accompagna ogni esistenza e intorno a cui si affollano le pratiche d’aiuto, ma più radicalmente la sottile percezione dell’insensatezza del proprio esistere.
E se il rimedio fosse altrove? Non nella ricerca esasperata di senso come vuole la tradizione giudaico-cristiana, ma nel riconoscimento di quello che ciascuno di noi propriamente è, quindi della propria virtù, della propria capacità, o, per dirla in greco, del proprio daimon che, quando trova la sua realizzazione, approda alla felicità, in greco eu-daimonia?
In questo caso il nichilismo, pur nella desertificazione di senso che porta con sè, può segnalare che a giustificare l’esistenza non è tanto il reperimento di un senso vagheggiato più dal desiderio (talvolta illimitato) che dalle nostre effettive capacità, quanto l’arte del vivere (téchne tou biou) come dicevano i Greci, che consiste nel riconoscere le proprie capacità (gnõthi seauton, conosci te stesso) e nell’esplicitarle e vederle fiorire secondo misura (katà métron).
Questo spostamento dalla cultura cristiana a quella greca potrebbe indurre nei giovani quella gioiosa curiosità di scoprire se stessi e trovar senso in questa scoperta che, adeguatamente sostenuta e coltivata, può approdare a quell’espansione della vita a cui per natura tende la giovinezza e la sua potenza creativa.
Se proprio attraversando e oltrepassando il nichilismo i giovani sapessero operare questo spostamento di prospettiva capace di farli incuriosire di sé, l”ospite inquietante” non sarebbe passato invano. 

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