Le pagine di
questo libro non indicano un rimedio di facile e immediata attuazione. E già
questa ammissione di impotenza la dice lunga sulla natura del disagio che lo
ripeto, non è esistenziale ma culturale. Ho ritenuto comunque che andassero
scritte se non altro per far piazza pulita di tutti i rimedi escogitati senza
aver intercettato la vera natura del disagio dei nostri giovani che,
nell’atmosfera nichilista che li avvolge, non si interrogano più sul senso
della sofferenza propria o altrui, come l’umanità ha sempre fatto, ma - e
questa, come ci ricorda Gunther Ander, è un’enorme differenza - sul significato
stello della loro esistenza, che non appare loro priva di senso perchè
costellata dalla sofferenza, ma al contrario appare insopportabile perchè priva
di senso. La negatività che il nichilismo diffonde, infatti, non investe la
sofferenza che, con gradazioni diverse, accompagna ogni esistenza e intorno a
cui si affollano le pratiche d’aiuto, ma più radicalmente la sottile percezione
dell’insensatezza del proprio esistere.
E se il rimedio
fosse altrove? Non nella ricerca esasperata di senso come vuole la tradizione
giudaico-cristiana, ma nel riconoscimento di quello che ciascuno di noi
propriamente è, quindi della propria virtù, della propria capacità, o, per
dirla in greco, del proprio daimon che, quando trova la sua realizzazione,
approda alla felicità, in greco eu-daimonia?
In questo caso il
nichilismo, pur nella desertificazione di senso che porta con sè, può segnalare
che a giustificare l’esistenza non è tanto il reperimento di un senso
vagheggiato più dal desiderio (talvolta illimitato) che dalle nostre effettive
capacità, quanto l’arte del vivere (téchne tou biou) come dicevano i Greci, che
consiste nel riconoscere le proprie capacità (gnõthi seauton, conosci te
stesso) e nell’esplicitarle e vederle fiorire secondo misura (katà métron).
Questo spostamento
dalla cultura cristiana a quella greca potrebbe indurre nei giovani quella
gioiosa curiosità di scoprire se stessi e trovar senso in questa scoperta che,
adeguatamente sostenuta e coltivata, può approdare a quell’espansione della
vita a cui per natura tende la giovinezza e la sua potenza creativa.
Se proprio
attraversando e oltrepassando il nichilismo i giovani sapessero operare questo
spostamento di prospettiva capace di farli incuriosire di sé, l”ospite
inquietante” non sarebbe passato invano.
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