Un pò di musica
sparata nelle orecchie per cancellare tutte le parole, un pò di droga per
anestetizzare il dolore o per provare una qualche emozione, tanta solitudine
tipica dell’individualismo esasperato, sconosciuto alle generazioni precedenti,
indotto dalla persuasione che - stante l’inaridimento di tutti i legami
affettivi - non ci si salva se non da soli, magari attaccandosi, nel deserto
dei valori, a quell’unico generatore simbolico di tutti i valori che nella
nostra cultura si chiama denaro.
Va da sé che
quando il disagio non è del singolo individuo, ma l’individuo è solo la vittima
di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti, se non addirittura di
sensi e di legami affettivi, come accade nella nostra cultura, è ovvio che
risultano inefficaci le cure farmacologiche cui oggi si ricorre fin dalla prima
infanzia o quelle psicoterapiche che curano le sofferenze che originano nel
singolo individuo.
E questo perchè se
l’uomo, come dice Goethe, è un essere volto alla costruzione di senso
(Sinngebung), nel deserto dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista del
nostro tempo diffonde il disagio non è più psicologico, ma culturale. E allora
è sulla cultura collettiva e non sulla sofferenza individuale che bisogna
agire, perchè questa sofferenza non è la causa, ma la conseguenza di un’implosione
culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei
master, nel precariato, sono le prime vittime.
E che dire di una
società che non impiega il massimo della sua forza biologica, quella che i
giovani esprimono dai quindici ai trent’anni, progettando, ideando, generando,
se appena si profila loro una meta realistica, una prospettiva credibile, una
speranza in grado di attivare quella forza che essi sentono dentro di loro e
poi fanno implodere anticipando la delusione per non vedersela di fronte?
Non è in questo
prescindere dai giovani il vero segno del tramonto della nostra cultura? Un
segno ben più minaccioso dell’avanzare degli integralismi di altre culture,
dell’efficientismo sfrenato di popoli che si affacciano nella nostra storia e
con la nostra si coniugano, avendo rinunciato a tutti i valori che non si
riducano al valore del denaro.
Se il disagio
giovanile non ha origine psicologica ma culturale, inefficaci appaiono i rimedi
elaborati dalla nostra cultura, sia nella versione religiosa perchè Dio è
davvero morto, sia nella versione illuminista perchè non sembra che la ragione
sia oggi il regolatore dei rapporti tra gli uomini, se non quella formula
ridotta della “ragione strumentale” che garantisce il progresso tecnico, ma non
un ampliamento dell’orizzonte di senso per la latitanza del pensiero e
l’aridità del sentimento.
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