mercoledì 9 novembre 2011

Umberto Galimberti: L’ospite inquietante / 5


Quando i sintomi del disagio si fanno evidenti, l’atteggiamento dei genitori e degli insegnanti oscilla tra la coercizione dura - che può avere senso quando le promesse del futuro sono garantite - e la seduzione di tipo commerciale di cui la cultura consumistica che si va diffondendo è un invito.
Sennonché anche i giovani di oggi devono fare il loro Edipo, devono cioè esplorare la loro potenza, sperimentare i limiti della società, affrontare situazioni tipiche dei riti di passaggio dell’adolescenza, tra cui uccidere simbolicamente l’autorità, il padre. E siccome questo processo non può avvenire in famiglia dove, per effetto dei rapporti contrattuali tra padri e figli, l’autorità non esiste più, i giovani finiscono con il fare il loro Edipo con la polizia, scatenando nel quartiere, allo stadio, nella città, nella società la violenza contenuta in famiglia.
Sono, questi, solo degli esempi fra i molti che si potrebbero segnalare per mostrare il nesso tra il passaggio storico del futuro come promessa al futuro come minaccia e le manifestazioni psicopatologiche del disagio dei giovani che non riescono più a percepire l’integrazione sociale, l’acquisizione dell’apprendimento, l’investimento nei progetti come qualcosa di connesso a un loro desiderio profondo, che è poi il desiderio di desiderare la vita.
A ciò si aggiunga che le passioni tristi e il fatalismo non mancano di un certo fascino, ed è facile farsi sedurre dal canto delle sirene della disperazione, assaporare l’attesa del peggio, lasciarsi avvolgere dalla notte apocalittica che, dalla minaccia nucleare a quella terroristica, cade come un cielo buio su tutti noi. Ma è anche vero che le passioni tristi sono una costruzione, un modo di interpretare la realtà, non la realtà stessa, che ha ancora in serbo delle risorse se solo non ci facciamo irretire da quel significante oggi dominante che è l’insicurezza.
Quel che è certo è che la nostra epoca smaschera l’illusione della modernità che ha fatto credere all’uomo di poter cambiare tutto secondo il suo volere. Non è così. Ma l’insicurezza che ne deriva non deve portare la nostra società ad aderire massicciamente a un discorso di tipo paranoico, in cui non si parla d’altro se non della necessità di proteggersi e sopravvivere, perchè allora si arriva al punto che la società si sente libera dai principi e dai divieti e, per effetto di questa libertà, la barbarie è alle porte.
Se l’estirpazione radicale dell’insicurezza appartiene ancora all’utopia modernista dell’onnipotenza umana, la strada da seguire è un’altra: quella della costruzione di legami affettivi e di solidarietà capaci di spingere le persone fuori dall’isolamento nel quale la società tende a rinchiuderle, in nome degli ideali individualistici che, a partire dall’America, si vanno paurosamente diffondendo anche da noi. 

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