[...] Essere
civilmente e socialmente cristiani implica un duplice dovere per chi professa
dei culti; non scandalizzare i poveri, non scandalizzare chi ha senso di
dignità umana e di giustizia sociale.
Rivolgendosi ai
democristiani:
[...] Voi
costituite bensì un Partito, cioè una parte della Nazione, ma questa parte non
è accampata nella Nazione per dominarla o per dividerla, ma è collocata in
mezzo alla strada per servirla.
Affermerà che lo
Stato è al di sopra dei partiti, lo Stato che assicura nell’ordine l’interesse
di tutti, secondo le regole prestabilite del diritto.
La dura esperienza
di vent’anni di vent’anni di dittatura ha confermato in lui il principio della
democrazia, e, in un discorso ai giovani della Democrazia Cristiana, nel 1951,
ricorda, citando Bergson, che la democrazia è di essenza evangelica. Ma
aggiunge di aver visto diversi regimi: nessuno di loro è perfetto, ma la
democrazia parlamentare è di gran lunga la meno peggio.
Quanto ai rapporti
del Governo con la Chiesa, retti dai Patti del Laterano (che la nuova
Costituzione ratificherà), seguono, in fondo, la formula cavouriana di libera
Chiesa in libero Stato. Nella loro condotta politica, De Gasperi e i suoi
colleghi, come cristiani, seguiranno la loro coscienza e la dottrina sociale
della Chiesa, ma senza dipendere dal consiglio dell’autorità pastorale.
De Gasperi terrà
molto a questo punto: il credente - afferma - agisce come cittadino nello
spirito e nella lettera della Costituzione e impegna se stesso, la propria
categoria, la propria classe sociale, il suo partito, ma non la Chiesa.
Uno dei suoi
biografi scrive a questo proposito:
Nessuno dei capi
di governo di quell’epoca, in Europa e in America, fu forse più religioso di De
Gasperi; ma nessuno fu più geloso della distinzione tra religione e politica,
quale era stata posta dal Vangelo.
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