mercoledì 9 novembre 2011

Andrea Vitali: Un amore di zitella / 3


La mattina seguente era il 17 gennaio. Il termometro segnava quattro gradi sotto lo zero. In piazza Tommaso Grossi non c’era nessuno, ad eccezione dello spazzino comunale Oreste che fischiava con forza il Carnevale di Venezia, scopettando ai piedi del monumento al poeta rami secchi e qualche cartaccia.
La superficie del lago era immobile, emanava una pacata allegria. Sul molo una lunga fila di gabbiani s’era acquartierata sulla murata. Le bandiere, maltrattate dal vento nei giorni precedenti, pendevano flosce e sfilacciate dai pali.
Iole aveva camminato a passo di corsa, aveva la punta del naso e le gote rosse. Non appena sbucata in piazza salutò Oreste con un cenno dalla mano. Lo spazzino, secondo sua abitudine, le gridò che quel giorno era santa Viscarda; aveva un martirologio tutto suo: santa Viscarda, santa Bernarda, santa Bibbiana erano le tre protettrici della sua vita senza donne.
All’altezza del bar Centrale, di fronte a molo e poco prima del portone del municipio, un uomo si fece incontro all’impiegata: era Domenico Osio, pensionato delle ferrovie factotum di tutte le associazioni bellanesi, dalla pro-loco, per la quale, in estate, teneva aperto l’ufficietto d’informazioni in piazza, all’associazione Mutilati e Invalidi di Guerra, per conto della quale consegnava a mano gli avvisi di riunione garantendo il risparmio delle spese postali.
Dal suo appartamento all’interno del bar l’Osio aveva visto arrivare l’impiegata e le aveva sbarrato il passo.
«Vuole qualche biglietto della lotteria signorina?» le chiese allegramente.
«Che lotteria?» s’informò Iole.
«Della Croce Rossa», spiegò il pensionato, «estrazione martedì grasso.»
«Me ne dia uno.»
«Uno solo?»
«Uno», confermò Iole. «Quant’è?»
L’Osio le disse il prezzo.
Iole frugò nella borsetta, ne trasse un grosso portafoglio in finta pelle di coccodrillo che si aprì immediatamente in due scomparti.
«’Sta cerniera», sbuffò la donna pagando e riprendendo la marcia verso l’ufficio.
Un quarto d’ora più tardi il custode del molo, Leandro Gianola, raccolse da terra, sulla soglia del bar, una carta d’identità. L’aprì: era di Iole Vergara, nata a Bellano il 17 gennaio 1924, nubile, impiegata, uno e sessantacinque, capelli neri, occhi marroni, residente a Bellano. Il Gianola notò la coincidenza delle date e rise di gusto guardando la fotografia della Vergara. Il fotografo l’aveva messa in bella posa, con gli occhi che guardavano verso l’alto, preoccupati, come se la voluminosa permanente fosse sul punto di crollare; le labbra gliele aveva fatte stringere a culo di gallina. Messo in tasca il documento si avviò alla volta del municipio. Entrò negli uffici, salutò, si rivolse a Iole.
«Le ho portato la sua carta d’identità», disse. «L’ho trovata per terra, davanti al bar Centrale.»
Iole arrossì.
«Devo averla persa prima, quando ho preso il biglietto della lotteria.»
«Buon compleanno», aggiunse il Gianola.
«Eh già, eh già», sbottò dal fondo dell’ufficio il segretario Domenico Restelli. «Signorina Iole auguri! Ma come ho fatto a dimenticarmi, stamattina stessa mia moglie me l’ha ricordato!»
Iole aveva il viso di brace.
«Fai finta di niente per non pagare la festa?» chiese l’impiegata Iride Rusconi.
Il messo comunale Adelio Troilo guardava tutta quell’improvvisa allegria con una faccia da babbeo.
«Ma no», si schernì Iole. «Anzi», disse rivolgendosi al segretario, «se me lo permette offrirò l’aperitivo a tutti.»
«Anche a me, eh?» disse il Gianola.
Iole accennò di sì, sorrise, era confusa: se non fosse stato per la carta d’identità nessuno si sarebbe accorto di niente. Da quando era morta sua madre s’era abituata agli onomastici e ai compleanni in solitudine. Si faceva da sé auguri e regali, come il televisore che aveva deciso di acquistare quell’anno.

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