mercoledì 9 novembre 2011

Andrea Vitali: Un amore di zitella / 2


Iole Vergara era appiccicata da quasi un’ora al vetro della finestra della sua casa al secondo piano di un condominio con vistalago lungo la statale 36. Guardava il paesaggio affascinata e sbalordita, senza nessun pensiero particolare, immersa nel buio del tinello mentre dalla cucina veniva l’indistinto gracchiare di una radiolina.
Il gennaio del 1962 era cominciato all’insegna del gelo. L’intero lago di Como per qualche giorno era sembrato appartenere a un pianeta di ghiaccio, ibernati persino i rumori e le scarse parole che la gente si era scambiata per strada. Poi era arrivato il phön e aveva squassato quell’irreale immobilità: aveva soffiato per tre giorni, continuo e violento. Infine, la sera del terzo, si era acquietato. Dalla superficie del lago era scomparsa la cresta spumosa dell’acqua sollevata dal vento. Ne aveva preso il posto un’onda continua, lunga e morbida, che si frangeva sulla riva con poco rumore. La monotonia inerte dell’inverno era ritornata. Tutti, uomini e cose, potevano tirare un sospiro di sollievo.
Iole viveva sola - suo padre era morto nel 1953, sua madre nel 1959 - aveva trentasette anni, dal 1948 lavorava presso il comune di Bellano: assunta allora come dattilografa, svolgeva ancora quell’incarico.
S’era messa alla finestra dopo aver cenato con un caffelatte, com’era sua abitudine d’inverno. Dopo aver lungamente guardato il lago passò a scrutare il cielo. Cercava un aereo notturno, di quelli che, provenienti da Milano e diretti verso la Svizzera o la Germania, traversano il Lario in diagonale. Ne vide uno mentre giungevano alle sue orecchie, limpide come il resto del paesaggio, le note della dirlindana, un ritornello scandito dalle campane della prepositurale, residuo della dominazione austriaca che l’aveva instaurato come segnale di coprifuoco.
Per Iole la dirlindana era tuttora segnale di coprifuoco. Chiuse le persiane, spense la radio e si ritirò a dormire. 

Nessun commento:

Posta un commento