domenica 12 giugno 2022

Vincenzo Paglia: La forza della fragilità /6

 


L’idea della vulnerabilità umana – l’ho già sottolineato prima – è emersa in contro-tendenza rispetto alla narrazione dominante della nostra modernità e della sua illusione sull’illimitato progresso umano ottenuto manipolando la natura a proprio piacimento. Questo scenario ha portato anche ad un atto d’accusa dell’antropocentrismo che ha dominato la cultura occidentale: la manipolazione della natura da parte dell’uomo sarebbe ormai talmente pervasiva, aggressiva, distruttiva da rendere l’uomo un pericolo per il diritto alla vita delle altre specie e per l’equilibrio cosmologico delle forme e delle forze che rendono abitabile il pianeta. Ma quel che è singolare è che la vulnerabilità riconosciuta alla natura non-umana non include un riconoscimento specifico della vulnerabilità propria dell’essere-umano, ossia come dimensione eticamente rilevante per l’analoga individuazione del dovere di protezione della sua dignità personale e di cura delle modalità relazionali di una convivenza all’altezza di tale dignità. È qui forse la ragione della battuta d’arresto del movimento ambientalista nei decenni dello sconvolgimento doloroso dell’umana convivenza prodotto dalla seconda guerra mondiale.

Il tema è stato posto con esplicita chiarezza – inedita nella tradizione del magistero cattolico – dall’enciclica di papa Francesco Laudato si’. La sua lettura, secondo i parametri dell’ecologismo estetico e utilitaristico, non è soltanto riduttiva: è un vero e proprio fraintendimento. Potremmo dire, con un pizzico di provocazione, che quell’insegnamento è piuttosto la prosecuzione del magistero sociale della Chiesa con altri mezzi, adeguati all’inedito profilo critico raggiunto dal rapporto fra cura della terra dei viventi e salvezza della dignità dell’essere umano. L’appello del papa si iscrive all’interno di una rilettura delle pagine

bibliche relative alla «signoria» dell’uomo sulla natura. La custodia del Creato è parte integrante della vocazione dell’uomo e della donna e della loro stessa dignità. L’uomo e la donna – assieme, in una vera e propria alleanza, non semplicemente come individui separati – debbono esercitare la loro «signoria» sulla creazione nell’orizzonte di quella «immagine e somiglianza» del Creatore che in mille modi – pensiamo soltanto ai Salmi o al libro della Sapienza – viene celebrata come affezione provvidente per tutte le creature viventi, anche le più piccole e trascurate. Del resto, nel racconto di Noè che tutti conoscono, il gesto simbolico che indica la via della salvezza per la famiglia umana e la terra dei viventi comprende l’imbarco delle coppie di tutti gli animali, pulcini e pesci compresi. Insomma, il mito di Prometeo, che una volta fu posto al vertice del calendario secolare dell’ateismo intenzionalmente umanistico, ed ora è impugnato come ispiratore di una volontà di potenza che autorizza il dispotismo distruttivo della specie umana nei confronti della terra dei viventi, proprio non ci appartiene: né per tabulas, né come ispirazione.


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