giovedì 9 giugno 2022

Breve analisi dei quesiti del referendum sulla giustizia

 


Voterò solo il referendum che propone l’abrogazione della Legge Severino. Il quesito è secco e chiaro: “Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235?”. Con il “Si” si cancella la Legge Severino. Con il “No” la si mantiene in essere. 

Con i limiti che può avere questa legge quando applicata agli amministratori locali, poichè non siamo in una "democrazia funzionante" io voterò “NO”.

 


 

da: https://www.glistatigenerali.com/ - Enrico Cerrini

Nell’indifferenza generale si vota il 12 giugno per cinque quesiti referendari. Con la scusa che si tratta di quesiti tecnici, i cittadini non sembrano interessati a informarsi e i giornalisti a spiegare l’oggetto del contendere. In realtà, i quesiti sono meno ostici di quanto propagandato e hanno ricadute sulla vita sociale, politica e democratica del paese.

Una vulgata afferma che i quesiti intervengono su materie già trattate dalla riforma Cartabia, attualmente in discussione in Parlamento. Certamente, il Parlamento è il luogo più idoneo per discutere di giustizia e si creerebbe una sovrapposizione, se riforma e referendum fossero entrambi approvati.  Ma, non sembra che i partiti siano in grado di mettersi d’accordo sulla giustizia prima della fine della legislatura.

Da profano del diritto, provo allora ad analizzare i quesiti.

1. Elezione membri togati del CSM e Valutazione dei Magistrati

I due quesiti che valuto meno interessanti si riferiscono all’elezione dei membri togati del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) e alla valutazione dell’operato dei giudici. Con il primo quesito, il giudice che intende candidarsi al CSM non dovrà più presentare le venticinque firme necessarie a presentare la candidatura. Quindi, ogni magistrato potrebbe autocandidarsi. Con il secondo, si propone di far valutare il lavoro dei magistrati anche da giuristi e avvocati.

L’intenzione dei referendari è quella di intervenire sull’autoreferenzialità della magistratura e limitare il potere delle correnti nel CSM. Ad occhio esterno, includere giuristi e avvocati nella valutazione dei giudici, pare una scelta che punisce i magistrati e aggiunge confusione. I veleni aumenterebbero sicuramente, mentre rimarrebbero in dubbio i benefici apportati. Inoltre, non ritengo che l’autocandidatura possa frenare il potere delle correnti interne al CSM.

I due quesiti rischiano di far intervenire i cittadini su strumenti propri del potere giudiziario. Appaiono come due quesiti populisti volti a incolpare il CSM dei mali della giustizia italiana. Ritengo che il problema della magistratura rimanga invece la netta divisione tra chi fa il suo lavoro seriamente e chi cerca solo visibilità mediatica. All’interno del CSM dovrebbe invece farsi strada una cultura che isoli chi sogna le luci della ribalta.

Questo meccanismo può accadere solo con una consapevolezza popolare che oggi manca. Non certo con il depotenziamento delle correnti. Aggiungo che i politici che si sono presentati come rottamatori di correnti sono diventati presto leader personali e trasversali. In questa veste, hanno formato gruppi di potere ben peggiori delle classiche correnti, nate come aree di interessi e obiettivi comuni.

2. Abuso della Custodia Cautelare

Il terzo quesito che voglio trattare è quello più controverso. Se dovesse passare, per reati meno gravi sarebbe possibile applicare la custodia cautelare solo in caso di pericolo di fuga e di inquinamento di prove. Non sarebbe possibile applicarla in caso di possibile reiterazione del reato.

Di conseguenza, un soggetto accusato di reati come il furto, la violenza domestica (effettuata senza l’utilizzo di armi) e lo stalking potrebbe essere incarcerato solo dopo la sentenza definitiva. Nessuno può negare che, se passasse il referendum, saranno necessari adattamenti del nostro sistema penale, come nessuno può negare che la custodia cautelare sia uno strumento abusato.

Troppi innocenti finiscono in carcere senza un vero motivo, con la scusa che possono reiterare colpe che non hanno commesso. Nel 2006, è stato persino incarcerato il giornalista Mario Spezi con l’accusa di depistaggio, solo perché criticava l’operato di un magistrato. Dobbiamo ricordare che in Italia le carceri sono sovraffollate e lo stato è continuamente condannato per la condizione disumana in cui tratta i detenuti. Sarebbe quindi opportuno limitare la custodia cautelare, tutelando anche le legittime preoccupazioni delle vittime di stalking o di violenza domestica. Personalmente, mi pare pigro considerare la custodia cautelare come l’unico strumento che evita la reiterazione del reato. Le nuove tecnologie e un più attento controllo delle forze dell’ordine possono tranquillamente tutelare i diritti sia dell’eventuale criminale che dell’eventuale vittima, senza ricorre al carcere preventivo. Inoltre, talvolta si ha l’abitudine di utilizzare il carcere preventivo per estorcere confessioni di dubbia sincerità. Al contrario, quando gli indizi sono consistenti ma non definitivi sarebbe più utile un costante pedinamento.

3. La separazione delle carriere

La separazione delle carriere tra il giudice inquirente e il giudice giudicante pare una questione minore. Oggi, i magistrati possono compiere quattro volte il passaggio tra accusa e giudizio. Secondo i referendari il magistrato giudicante viene influenzato dalla sua eventuale attività precedente di inquirente. Insomma, il magistrato che ha un tempo indagato avrebbe una maggiore volontà di condannare e infliggere pene al momento di giudicare.

Credo però che il principale problema sia nell’intesa che si crea tra accusa e giudizio nelle sentenze di primo grado. Questa è causata soprattutto dalle relazioni umane che si sviluppano lavorando a stretto contatto, in particolare nei piccoli tribunali. In questo caso, si ottengono delle sentenze di primo grado poco ragionevoli. Le stesse, sono spesso smontate nei successivi gradi di giudizio, dove i contatti tra inquirenti e giudici sono meno stretti. La mancata separazione delle carriere potrebbe non essere un elemento determinante, ma certamente rappresenta un’ulteriore complicazione.

4. La Legge Severino

L’ultimo quesito è il più politico e il più chiaro. Se passasse, verrebbe abolita una parte della Legge Severino. I parlamentari e i ministri non potrebbero più decadere automaticamente una volta condannati in via definitiva. Gli amministratori locali non sarebbero più sospesi dopo una condanna in primo grado. Reputo l’incandidabilità per i condannati una misura giusta ma paternalistica, che crea problemi di democraticità. Il parlamento la approvò in un momento di scarsissima credibilità delle istituzioni, quando la nostra democrazia sembrava completamente disfunzionale.

Al contrario, in una democrazia funzionante i cittadini dovrebbero riconoscere autonomamente quali candidati eleggere e quali no. La magistratura non dovrebbe avere alcuna voce in capitolo. Per quanto riguarda gli amministratori locali, la Legge Severino pone problemi ancora maggiori. Gli amministratori potrebbero essere sospesi anche dopo una condanna in primo grado per reati come l’abuso d’ufficio, un reato spesso connesso all’esercizio delle proprie funzioni.

Gli amministratori locali possono quindi essere sospesi per aver semplicemente svolto il proprio lavoro, come Niki Vendola che ha rischiato la condanna per aver provato a garantire la correttezza di un concorso da primario. Ho sempre sostenuto l’insensatezza di questa norma, che attribuisce un eccessivo potere al potere giudiziario ai danni di quello legislativo.

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