giovedì 2 giugno 2022

Bankitalia avvisa i lavoratori: zero aumenti

 


 

da: Il Fatto Quotidiano – di Carlo Di Foggia

Le retribuzioni minime stabilite dai contratti collettivi nel 2021 hanno continuato a crescere a ritmi moderati: +0,6% rispetto al +1,5% medio dell’area euro. 5 milioni di lavoratori con salario medio effettivo inferiore ai 10mila euro annui in Italia prima della pandemia. A maggio l'inflazione è al 6,9%. Covid e guerra: redditi falcidiati, ma il Governatore lancia l’allarme sulla “spirale salari-inflazione”, mentre nei grandi Paesi Ue si tratta per alzare le buste paga.

Negli anni 50 il grande sindacalista Giuseppe Di Vittorio schierava la Cgil nella lotta  al “carovita” spiegando che, fin quando non si riuscirà a impedire l’aumento dei prezzi sui lavoratori, non resta che esigere adeguati aumenti dei salari. Nell’Italia che a maggio ha registrato il rialzo dell’inflazione più alto dal marzo del 1986, ieri milioni di lavoratori che vedono redditi in calo da un trentennio oggi erosi dai rincari innescati dai prezzi  impazziti dell’energia hanno potuto ascoltare l’ammonimento del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco a evitare “una vana rincorsa fra prezzi e salari di fronte all’aumento dell’inflazione”.

Nelle usuali “considerazioni finali", Visco ha spiegato a una platea di banchieri, industriali, leader politici e istituzionali che, invece di una generale crescita delle retribuzioni agganciandole ai prezzi di alcuni beni, sarebbero opportuni “interventi di bilancio di natura temporanea e calibrati con attenzione alle finanze pubbliche” per contenere i rincari delle bollette e sostenere le famiglie.

Insomma, “con aumenti una tantum delle retribuzioni, il rischio di un avvio di un circolo vizioso tra inflazione e crescita salariale sarebbe ridotto”. A oggi però, ha ammesso, segnali di “trasmissione delle pressioni dai prezzi alle retribuzioni” non si sono registrati.

Visco ha parlato il giorno dopo che il leader della Confindustria Carlo Bonomi ha accusato il Reddito di cittadinanza (importo medio per nucleo percettore: 540 euro) di “fare concorrenza” ai salari offerti dai suoi associati, mentre i giornali si riempiono del tradizionale pianto estivo degli imprenditori che non trovano stagionali a causa del sussidio anti-povertà. Ieri quasi nessun leader di partito si è sentito di dire qualcosa. È toccato al segretario della Cgil, Maurizio Landini, replicare: “Penso che i salari nel nostro Paese sono troppo bassi, non possono aumentare una tantum, devono aumentare”.

Ma d’altra parte l’Italia è quel posto dove – quando i giornali mostrano che è l’unico Paese Ocse in cui i salari sono diminuiti dal 1990 (-2,9%, contro il +33% della Germania, il +31% della Francia o il +6% della Spagna) – gli esponenti del Pd twittano la classifica indignati dimenticando che il loro partito è stato al governo per gran parte di quel trentennio.

E veniamo ai dati. A maggio l’inflazione è salita, su base annua, del 6,9% (+0,9% su aprile) e nell’Eurozona oltre le aspettative all’8,1%. I rincari sono innescati dall’esplosione dei prezzi energetici all’importazione (+29%) che contagia tutto il resto. L’inflazione “di fondo”, cioè depurata dai beni energetici, è al 3%, livello elevatissimo. I rincari sono stati acuiti dalla guerra ma erano partiti già nel 2021. L’impatto sul reddito delle famiglie è pesante. Ad aprile l’Istat stimava che quest’anno le retribuzioni contrattuali saliranno dello 0,8% con una “perdita del potere d’acquisto delle famiglie di quasi 5 punti”. In un mese l’inflazione acquisita è stata rivista al 5,7% (+0,5 in un mese) e quindi l’erosione del reddito salirà. L’Ufficio parlamentare di Bilancio ha stimato che i 28 miliardi stanziati finora per far fronte ai rincari energetici non sono bastati a coprire la maggiori spese delle famiglie e al momento non sono previsti nuovi interventi.

In questo scenario la spirale prezzi-salari che spaventa Visco non si vede e non si capisce come potrebbe realizzarsi. La stessa relazione di Bankitalia, firmata da Visco, spiega che “l’impianto complessivo della contrattazione collettiva limita nel breve periodo la reattività delle retribuzioni a variazioni inattese dei prezzi”. La gran parte dei contratti o è scaduta o è stata rinnovata prima del ritorno dell’inflazione. A non dire che i contratti si basano su quella depurata dai beni energetici e quasi mai prevedono clausole che “impongono incrementi retributivi qualora l’inflazione effettiva superi quella prevista al rinnovo”. Gli economisti di Banca d’Italia ammettono che “il tasso di disoccupazione, seppure in calo, è ancora compatibile con una crescita moderata dei salari; il numero di ore lavorate per addetto è tuttora inferiore ai valori pre-pandemici” (il grosso dell’occupazione recuperata, peraltro, è a termine). “Nel 2021 – si legge – la dinamica salariale è rimasta molto contenuta: le retribuzioni minime stabilite dai contratti collettivi hanno continuato a crescere a ritmi moderati” (+0,6% rispetto al +1,5% medio dell’area euro) e “le retribuzioni orarie effettive hanno ristagnato”. Non è chiaro se Visco voglia continuare così. Stando ai dati della Fondazione Di Vittorio, prima della pandemia quasi 5 milioni di lavoratori avevano un salario medio effettivo inferiore ai 10 mila euro annui e si registravano 3 milioni di precari, 2,7 milioni di part-time involontari (di cui una parte anche precari) e 2,3 milioni di disoccupati ufficiali. L’Italia è l’unico Paese in Europa, insieme a quelli scandinavi e all’Austria, in cui la fissazione dei livelli salariali minimi è affidata solo alla contrattazione, senza un salario minimo legale – osteggiato da sindacati e da tre quartidell’arco parlamentare – con livelli retributivi (e annessi aumenti) però assai inferiori.

La quota di lavoratori coperti da Ccnl è elevatissima ma non basta: il lavoro nero è molto diffuso, specie in certi settori e territori; le retribuzioni sono basse e falcidiate dal dumping salariale dei contratti pirata sottoscritti da sindacati di comodo. “Abnormi nel numero ma irrisori nella copertura effettiva – ha scritto l’economista Salvo Leonardi su Il Menabò di Etica ed Economia – fanno nei servizi ciò che le delocalizzazioni producono nell’industria: basta evocarne la minaccia per condizionare al ribasso i tavoli negoziali maggiori”. Spesso i Contratti nazionali hanno minimi retributivi da lavoro povero, condizione in cui – stando alla relazione degli esperti convocati dal ministero del Lavoro – si trova quasi un terzo dei lavoratori italiani.

L’Italia è il malato più grave in un sistema deflattivo (l’Eurozona), dove finora i salari sono rimasti indietro rispetto agli Usa: a fine 2021 sono saliti del 2%, contro il quasi 6% degli Stati Uniti, anche se qualcosa si muove. Secondo la Bce – ha ricordato il Financial Times –gli accordi siglati da gennaio contro il carovita faranno salire gliincrementi al 3%. In Germania il sindacato dei metalmeccanici (Ig Metall) negozia aumenti fino all’8,2%, mente il governo si è impegnato ad alzare il salario minimo da 10 a 12 euro l’ora; quello francese è salito del 5,9% in un anno (la Cgt chiede di salire al 20%); Lussemburgo, Cipro e Belgio hanno meccanismi di adeguamento automatico all’inflazione; e nei Paesi Bassi il sindacato ha ottenuto aumenti medi del 3,3%, i più alti dal 2008. In Italia abbiamo Visco e le sue paure di un ritorno agli anni 70. La Bce si appresta a rialzare i tassi frenando i consumi per arginare i prezzi. Non avremo la spirale salari-inflazione come 40 anni fa, ma una normale recessione.

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