domenica 19 giugno 2022

Vincenzo Paglia: La forza della fragilità /8

 


Costituirebbe certamente una svolta epocale se accettassimo di comprendere la vulnerabilità dell’umanità nella sua specificità. Renderebbe una società civile all’altezza delle condizioni-limite delle diverse e più specifiche vulnerabilità delle storie di vita. Nel pensiero classico aleggiava la peculiarità della società umana nella sua specificità. Aristotele, per fare un solo esempio, distingueva il «pascolare insieme», proprio della mandria degli animali, dal «vivere insieme» (nel senso dell’amicizia) proprio invece dei cittadini della polis. Nel caso degli animali il fattore aggregativo – del tutto estrinseco ad essi – è offerto dal pascolo, che precede il branco e in una certa misura lo costituisce tale, nell’amicizia politica è in primo piano la relazione di reciprocità che precede e istituisce la polis. Si potrebbe anche dire che la mandria esemplifica il paradigma competitivo, fondato sul principio della sottrazione vicendevole dei beni esterni, a differenza della reciprocità cooperativa propria della vita politica, fondata su un principio partecipativo, secondo il quale il bene stesso coincide con la relazione.

Nella lezione cristiana la convivenza umana, che diventa capace di rispetto e di protezione della dignità della creatura spirituale, porta intelligenza e ordine – non ostilità e caos – nella natura creata. Non si tratta di «adorare» la natura creata da Dio, si tratta di «onorare» la creazione divina della natura. Il vero «signore» è quello che sa dosare la forza, non quello che la impiega senza amore e senza limiti. Il Vangelo del regno di Dio, infine, annunciato da Gesù – ossia il mondo in cui Dio è felice di abitare con gli uomini e le donne ed essi vengono

messi in condizione di abitare felicemente la creazione di Dio – sigilla una volta per tutte e per sempre la suprema dignità dell’amore del prossimo, che illumina lo stesso amore di Dio, che nel Figlio si fa prossimo dell’essere finito.

Non c’è motivo di contrapporre la cura razionale della dignità umana e la dedizione amorevole rivolta alla sua vulnerabilità. Le parabole del Vangelo impiegano sistematicamente le metafore narrative della buona economia della casa, dei beni, delle relazioni. Né si deve pensare all’insistenza di Gesù (e oggi del magistero ecclesiastico specialmente di papa Francesco) sulla speciale attenzione che la fede rivolge alla testimonianza del Vangelo attraverso la fattiva dedizione ai poveri e agli abbandonati come ad una semplice esortazione morale. Non si tratta di una sorta di pauperismo ideologico, che cerca consenso approfittando di una vulnerabilità al grado zero e inducendo ostilità fra le classi sociali: sarebbe veramente una contraddizione imperdonabile. La grazia del riscatto e del compimento offerto da Dio è realmente donata all’uomo vulnerabile, non al soggetto selezionato in base alla presunta perfezione delle sue caratteristiche fisiche e della sua qualità. Se la dignità della creatura amata e riscattata da Dio si fa strada nella condizione più disastrata e più distante, per la quale si è disposti a metterci (e a rimetterci) del proprio, allora c’è realmente speranza per tutti, vulnerabili quanti siamo. Per la tradizione evangelica appare chiaro che la salvezza inizia dai più poveri, dai più deboli. C’è, in effetti, un amore privilegiato di Dio per chi ha più bisogno, per chi è scartato e messo da parte.

Questo tratto della genuina fede evangelica ha già ispirato – apertamente o nascostamente – la nostra cultura umanistica. La crescente sensibilità della nostra cultura (ma anche di culture lontane che ne hanno assimilato l’ispirazione) per il racconto della storia sociale dalla parte delle vittime fa indiscutibilmente parte della storia degli effetti (e degli affetti) del vangelo cristiano. Nella congiuntura attuale, il cristianesimo è certamente chiamato a confermare, in termini culturalmente e socialmente adeguati, la vitalità di quella originaria ispirazione della fede.

Il kairos attuale, tuttavia, sollecita la speciale responsabilità di un valore aggiunto, capace di generare una significativa riabilitazione del rapporto fra politiche solidali degli affetti e passione per il bene comune. Le condizioni del mutamento di passo, su questo punto, rese inaspettatamente urgenti dalla pressione di una vulnerabilità globale come quella che stiamo vivendo, raccomandano il massiccio avvio di una specifica educazione delle giovani generazioni all’estetica della vulnerabilità, che va diventando sconosciuta a quella cresciuta dalle mitologie dell’invulnerabilità. La confidenza con le vulnerabilità più indifese – la disabilità, la solitudine, l’ignoranza, l’insignificanza – dalle quali imparare ad estrarre gli incanti di una dignità nascosta, ormai rassegnata all’esclusione, affina l’animo per sempre ed apre l’orizzonte ad una forma di felicità del voler bene che soltanto attraverso questo apprendistato della tenerezza si rende nota.

post precedente https://taccuinodiunamarziana.blogspot.com/2022/06/vincenzo-paglia-la-forza-della.html

Nessun commento:

Posta un commento