lunedì 4 ottobre 2021

Riesumata la secessione dei ricchi: così Draghi premia la “Lega nordista”

 


da: Il Fatto Quotidiano – di Marco Palombi

Mercoledì Luca Zaia era a Gambellara, in provincia di Vicenza, a spiegare ai suoi sostenitori che sull’autonomia per il Veneto “abbiamo due riunioni importanti in Regione questo fine settimana, poi la prossima settimana penso di essere a Roma”. In quelle stesse ore il Consiglio dei ministri aveva analizzato la Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, ovvero il testo in cui il governo dice al Parlamento e al Paese tutto quel che vuole fare. E qui torniamo a Zaia: nel testo entrato in Cdm e di cui tutti hanno scritto il giorno dopo non c’era traccia dell’autonomia; in quello che giovedì pomeriggio è stato pubblicato sul sito del Tesoro, invece, il primo tra i provvedimenti collegati alla prossima legge di Bilancio è il ddl “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, comma 3, Cost.”. E sempre giovedì, ancor prima della pubblicazione della Nadef, il presidente veneto spiegava che “Draghi sa che autonomia è assunzione di responsabilità: Draghi è un presidente che punta alla responsabilità, se vuole fare lotta agli sprechi deve puntare all’autonomia”.

Tradotto: torna la “secessione dei ricchi” che fu quasi approvata sotto il Conte 1 (governo gialloverde) per poi rallentare nel successivo esecutivo guidato dal professore grillino. La pandemia e le pessime prove delle Regioni nel garantire il diritto alla salute ai loro cittadini – Lombardia su tutte - parevano aver definitivamente archiviato la pratica, ma – un po’come il cuore – la politica ha le sue ragioni che la ragione non conosce.

Quella che ha spinto Mario Draghi a inserire al primo posto tra gli impegni del suo governo l’autonomia differenziata, a ben guardare, ha però più a che fare coi rapporti di forza che coi sentimenti: è la libbra di carne che il premier paga alla Lega nordista che gli ha fatto il discreto favore di uccidere politicamente Matteo Salvini. Ora, giubilata la forza “lepenista” nazionale, bisogna che gli alfieri del federalismo degli sghei e dei danè abbiano qualcosa da vendere al confuso corpaccione del partito che fu di Bossi. Per capire a che punto è la partita serve un breve riassunto.

Nel 2017 Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, sulla base della confusa riforma del Titolo V del 2001, avanzarono delle proposte di “autonomia differenziata”: le due Giunte leghiste hanno di fatto chiesto di poter decidere da sole su tutte e 23 le materie indicate dalla Costituzione (Stefano Bonaccini è stato leggermente più moderato), ovviamente pretendendo anche i relativi finanziamenti.

Una secessione di fatto dei territori più ricchi che finirebbe per impoverire le altre Regioni e, soprattutto, il governo centrale. La faccenda in questi anni s’è arenata su un fatto non da poco: la (pessima) riforma del 2001 non ha disegnato una procedura per devolvere i poteri. In questo caos, il governo Gentiloni firmò un (pessimo) pre-accordo con le tre Regioni senza dire come implementarlo; il Conte 1 provò la (pessima) strada di considerare le intese finali identiche a quelle tra lo Stato e le religioni; il Conte 2 immaginò la via di una più equilibrata “legge quadro”, approvata anche in Conferenza Stato-Regioni, che però non vide mai la luce; oggi il governo Draghi parla di un “ddl Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata”.

In attesa del testo (“non ce n’è ancora uno condiviso”, dice Zaia) i segnali non sono buoni. Intanto a gestire la partita c’è oggi la lombarda Mariastella Gelmini, ministra degli Affari regionali, favorevole all’autonomia differenziata come richiesta dalla sua Regione, quella guidata da Attilio Fontana. Indizio ancora peggiore è che poche settimane fa l’esecutivo ha deciso di distribuire i 5 miliardi del Fondo di perequazione per le aree svantaggiate senza definire prima i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” (Lep): non si possono fare, ha detto il Tesoro, benedetto dalla ministra per il Sud Mara Carfagna.

Il problema è che la Costituzione vigente prevede, prima di devolvere alcunché, proprio di definire i Lep su assistenza, trasporto pubblico e norme generali sull’istruzione (quelli in materia di salute, i Lea, esistono già): senza quelli, i diritti dei cittadini italiani cambieranno a seconda della loro zona di residenza ancor più di quanto non accada già oggi.

Quale temperie migliore per far passare una fregatura del genere di quella del governo di tutti?

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