martedì 29 maggio 2018

Perché sale lo spread? Cos’è il debito pubblico? Domande e risposte sulla crisi



Come funziona il mercato dei titoli di Stato, cos’è il «differenziale» tra Btp italiano e Bund tedesco e i conti in tasca ai 2.300 miliardi che zavorrano i nostri conti pubblici
di Giuditta Marvelli e Gino Pagliuca 

Perché sale lo spread e l’effetto che fa
Lo spread misura la distanza tra il rendimento dei nostri titoli di Stato e quelli della Germania. Ma come funziona? E perché sale? I titoli di Stato vengono comprati e venduti sul mercato secondario dove si formano i prezzi dei Btp già collocati in asta. Più le quotazioni scendono - perché come accade in queste ore molti stanno vendendo i titoli italiani per paura di quello che potrebbe accadere - più lo spread sale. I Btp verranno comunque rimborsati a 100 pagando lungo la strada cedole (fisse o variabili) e quindi la svalutazione del prezzo fa alzare la posta del rendimento. Questo significa che chi ce li ha in portafoglio e non li vende fino a scadenza non patisce perdite reali. Ma lo Stato, che deve rifinanziare periodicamente il debito pubblico, in occasione delle successive emissioni dovrà pagare di più, alzando l’onere a carico del Tesoro per il servizio del debito. E’ esattamente quello che è successo per esempio oggi ai Ctz: in un mese questi titoli biennali sono passati da un rendimento negativo a 0,35%, guadagnando più di mezzo punto che si è tradotto in minori entrate per il Tesoro in sede di collocamento. E’ vero che i tassi in Europa stanno lentamente salendo, ma in Italia corrono di più (almeno in questi giorni) sull’onda dell’incertezza politica.


A che cosa serve il debito pubblico?
Il debito pubblico, il grande imputato di questi giorni, vale il 130% del nostro Pil e ammonta a 2.300 miliardi. Come si forma? Lo Stato per molti anni ha speso più di quanto coprivano le sue spese correnti per il welfare, gli stipendi, la pa e così via e quindi ha dovuto e deve coprire il deficit. Per fare un esempio tutto il gettito Irpef di ogni anno serve per pagare pensioni sociali e altre formule di assistenza pubblica non coperte da contributi. Tutti gli Stati hanno debiti, come molte le imprese o privati cittadini. Il problema è sempre la quantità in rapporto alla ricchezza. Il debito tricolore è esploso alla fine degli anni Settanta: nel 1974 il rapporto tra debito e Pil era al 54,5%, in venti anni lievita al 124% e la storia dice che è stato impossibile invertire il trend. Oggi per rinnovare i titoli in scadenza e pagare le cedole di quelli in corso servono ogni anno circa 400 miliardi. Nel 2017 il costo medio del servizio del debito è stato pari all0 0,63%, mentre nel 2017 si è toccato il minimo storico dello 0,52%. Per quest’anno siamo già sopra l’1% e, molto probabilmente, salirà ancora.

Spread e mutui, la lezione del 2012
Tornare indietro di qualche anno può servire a comprendere perché lo spread sui titoli di Stato e il tasso dei mutui sono correlati. Torniamo all’epoca della crisi che portò alla nascita del Governo Monti. Tra il secondo semestre 2011 e la prima metà del 2012 l’Euribor a tre mesi, il parametro benchmark dei finanziamenti variabili, è sceso dall’1,6 allo 0,66%; l’Eurirs a 20 anni, parametro di riferimento per i fissi, è passato dal 3,66 al 2,14%. Ebbene i migliori tassi variabili a metà 2012 erano offerti dalle banche al 4%, i fissi più convenienti sfioravano il 6%. Le banche cioè, per scremare la clientela e per cercare di riguadagnare parte di quello che stavano perdendo con le svalutazioni su titoli di Stato applicavano ai pochi clienti cui davano il mutuo uno spread minimo del 3%. Oggi lo spread tassi variabili Euribor in media si aggira sull’1,2%, quello tra Eurirs e fissi è dello 0,5%. Uno scenario attendibile, se le tensioni sui nostri titoli del debito perdurassero, è che si giunga a un incremento dei tassi sui nuovi mutui indipendente dall’andamento dei parametri di riferimento e tutto dovuto agli spread applicati dalle banche. Le conseguenze sarebbero dolorose per tutta l’economia del Paese, perché oggi circa sette compravendite di case su 10 sono assistite da mutuo e al credit crunch sui finanziamenti farebbe seguito, come successo dopo il 2012, il calo dei rogiti. Chi non rischia nulla in questa situazione è solo chi ha già in corso un mutuo a tasso fisso, mentre il prospettiva potrebbe avere problemi, legato al rialzo a questo punto possibile dell’Euribor, chi sta pagando a tasso variabile.

Gli altri prestiti, come possono salire le rate del telefonino
La stretta sul credito più che l’innalzamento dei tassi, potrebbe creare forti problemi anche nel settore del credito al consumo. Perché diciamo questo? Suun finanziamento molto breve e per somme di modesta entità anche tre o quattro punti di aumento in realtà impatta poco: ipotizziamo un prestito al tasso reale del 13% per l’acquisto di uno smartphone da 900 euro in 24 rate: il costo mensile effettivo dell’operazione è di 42,79 euro; se si salisse al 17% la rata diventerebbe di 44,50 euro, con un incremento pressoché irrilevante di 171 centesimi al mese. Ma se banche e finanziarie cominciano a stringere i cordoni del credito al consumo interi settori dell’economia potrebbero pagare un prezzo molto alto, soprattutto se si considera che le crisi finanziarie, una lezione che abbiamo imparato con il precedente exploit dello spread, portano anche chi in realtà non avrebbe problemi ad aumentare la propria capacità di risparmio contraendo le spese per consumi, con forti conseguenze sul Pil e il rischio di entrare in un circolo vizioso da cui è impossibile scappare: se non migliora il rapporto tra debito e Pil il servizio del debito costa sempre di più costringendo a una politica di tagli e di nuove tasse ulteriormente recessiva.

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