Con i presupposti indicati nel post precedente ho affrontato la lettura della riforma Costituzionale. L’ho fatto mettendo da parte le mie opinioni su Matteo
Renzi e su Giorgio Napolitano e con l’idea che nessuna norma è valida in
eterno e, quindi, si può pensare di modificarla, ma anche che solo una classe
politica di qualità può mettere mani alla Costituzione senza fare danni.
Di
seguito, la mia
analisi e le mie osservazioni:
1. Articoli criptici e/o confusionari - Gli
articoli che maggiormente incidono nel testo della Costituzione ad oggi in
vigore sono il 70 e il 72 e il 117. Altri articoli sono stati modificati,
alcuni solo per aspetti di coerenza formale al cambiamento di attribuzioni
assegnate alla sola Camera mentre nella Costituzione del 1947 le stesse sono
assegnate in maniera paritetica a Camera e Senato. Proprio gli articoli 70 e 72
che modificano le funzioni legislative
di Camera e Senato sono scritti con i piedi, prolissi, contorti e neppure di
facile e chiara immediatezza anche da parte di addetti ai lavori
costituzionalisti. Inserire o modificare norme in questo modo significa
aumentare in misura esponenziale il rischio che si facciano ricorsi alla Corte
Costituzionale per dirimere dubbi interpretativi.
2. Solo
la Camera vota la fiducia - Ciò che è chiaro e non si presta a
interpretazioni o dubbi è il comma 2 dell’articolo 70, che stabilisce che
tutte le norme – a parte quelle indicate al comma 1 - sono approvate dalla
Camera dei Deputati. A dimostrazione che
quando si vuole essere chiari nell’attribuire funzioni e competenze ci si riesce.
3.
Il
ruolo farsa del Senato - Le funzioni
del Senato sono state modificate:
non voterà più la fiducia ai provvedimenti proposti dal Governo ma si esprimerà (art.70, comma 1) su alcune materie (es: leggi costituzionali, attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, ecc..). L’aspetto positivo è la riduzione del numero dei Senatori che da 315 scendono a 100: 95 rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 nominati dal Presidente della Repubblica (art. 57). Ciò premesso:
- se si vuole ridurre il numero dei parlamentari, perché non si è riduce anche il numero dei deputati della Camera che rimangono invece 630;
- i senatori non sono più eletti dai cittadini italiani ma nominati dai Consigli Regionali. Poiché i senatori conservano come i Deputati le immunità previste dall’art.68, comma 2, - considerando la “propensione” alla corruzione della nostra classe politica – il rischio è che il Senato possa diventare la “zona di confino” di consiglieri che vogliono sottrarsi agli effetti di inchieste della magistratura;
non voterà più la fiducia ai provvedimenti proposti dal Governo ma si esprimerà (art.70, comma 1) su alcune materie (es: leggi costituzionali, attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, ecc..). L’aspetto positivo è la riduzione del numero dei Senatori che da 315 scendono a 100: 95 rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 nominati dal Presidente della Repubblica (art. 57). Ciò premesso:
- se si vuole ridurre il numero dei parlamentari, perché non si è riduce anche il numero dei deputati della Camera che rimangono invece 630;
- i senatori non sono più eletti dai cittadini italiani ma nominati dai Consigli Regionali. Poiché i senatori conservano come i Deputati le immunità previste dall’art.68, comma 2, - considerando la “propensione” alla corruzione della nostra classe politica – il rischio è che il Senato possa diventare la “zona di confino” di consiglieri che vogliono sottrarsi agli effetti di inchieste della magistratura;
A parte la doppia votazione di Camera e
Senato nei casi stabiliti dall’art.70 comma 1, la cosiddetta “navetta”, cioè i più
passaggi in Camera e Senato con relative votazioni ad ogni modifica del
testo, rimane in essere una volta ma ad una condizione. E qui arriviamo al
ruolo farsa assegnato al Senato. Anziché
abolirlo, che avrebbe comportato una più significativa riduzione di costi, si è disegnato un ruolo farsa:
A.
Un terzo
dei suoi componenti può chiedere di esaminare i testi approvati dalla Camera, ma ha a disposizione 30 giorni per farlo.
Come può un consigliere regionale che
nel “tempo libero” fa il senatore esaminare seriamente un provvedimento di
legge in 30 giorni part-time. Non solo, qualora la
maggioranza approvasse le modifiche entro i 30 gg stabiliti, il testo riandrebbe alla Camera ma questa
potrebbe ignorarle pronunciandosi definitivamente sul testo approvato in prima
istanza. Che le modifiche del
Senato possano essere bocciate è probabile considerando che arriveranno da un
voto espresso non dalla medesima maggioranza della Camera. Il Senato è
costituito da 2 senatori per ogni Consiglio Regionale. E i Consigli Regionali
sono governati da centro sinistra ma anche centro destra.
Si
sono allungati i tempi di 40 gg e fin qui, poco o male, ma, soprattutto, si fa fare al Senato un’attività inutile
perché la Camera nel pronunciarsi in via definitiva potrebbe ignorare le
modifiche che gli arrivano dai senatori. Ma
non è finita qui……….
B.
Se il
Governo decide che un provvedimento è essenziale
per l’attuazione del suo programma i tempi
per il Senato si riducono a 15. Lo dice il comma 7 dell’articolo 72, il peggio scritto in assoluto.
Lo stesso articolo e comma che stabilisce però che per queste leggi considerate
essenziali dal Governo la Camera abbia ben 70 giorni di tempo per pronunciarsi.
C.
Se la
legge è una di quelle attuative dell’art. 117 al quarto comma, l’art. 70 al
comma 4 stabilisce che il Senato deve esaminare il testo entro
10 giorni. Ma la Camera può non conformarsi alle modifiche proposte dal Senato
votando a maggioranza assoluta dei propri componenti (unico caso in cui anche
il voto delle opposizioni conta qualcosa);
D.
Se
il disegno di legge è di quelli dell’art.81, quarto comma, il
Senato può deliberare proposte di modificazioni entro 15 giorni dalla data di
trasmissione del testo
Un “pateracchio” perfettamente riuscito questo
Senato. Ossia: una farsa inutile
Domanda: A
che serve un Senato così? A chi serve?
Diritti delle opposizioni - La
riforma prevede che solo la Camera eserciti il voto di fiducia. Il ruolo del
Senato è quello sopra descritto, limitato nelle decisioni legislative e
praticamente inutile. Ciò significa che:
- Il governo o la
maggioranza alla Camera (che è quella che esprime il presidente del Consiglio) presenterà
i disegni di legge che potranno essere approvati
senza modifiche; spetterà al “buon cuore” del Governo o della sua
maggioranza alla Camera accettarle.
Questo
però e anche ciò che s’intende per
governabilità. Vale a dire: che il governo possa presentare un
provvedimento che in tempi rapidi sia approvato e diventi legge. L’altra faccia
della medaglia è che non sarà possibile intervenire sui provvedimenti salvo
che, la Camera decida di accettare le modifiche proposte dal Senato. Insomma: la maggioranza, che sostiene il presidente
del consiglio, approva, decide se accettare o no delle modifiche. E le
opposizioni che possono fare?
- Ci sarebbe l’articolo 64: “I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari. Il regolamento della Camera dei deputati
disciplina lo statuto delle opposizioni”.
Premesso che: tale regolamento non
esiste e non sono previsti tempi stabiliti per la sua predisposizione,
l’articolo è indecente: è sempre la stessa maggioranza della
Camera che voterà il Regolamento che stabilisce i diritti delle minoranze. Cos’è,
“Scherzi a parte” o qualche nostalgia di certo passato italiano?
Il ruolo dell’esecutivo –
Non esiste nessun articolo che in modo chiaro e netto assegni al Governo un
unico ruolo: esecutivo, legislativo, tanto meno giudiziario. Quindi, non è certo scritta una deriva
antidemocratica. E’ indubbio però che il Governo ha un percorso preferenziale e accelerato. Il Governo può presentare
disegni di legge che la Camera approva in toto, a meno che, dalla maggioranza
qualcuno si “sfili”.
Si
rafforza l’esecutivo, si riduce a farsa il ruolo di un Senato tra l’altro non
eletto e la maggioranza alla Camera, quando non sarà impegnata ad approvare i
provvedimenti del Governo non si diletterà ad ascoltare le opposizione per
presentare disegni di legge che possano raccogliere ampi consensi. Non resterà
che aspettare 5 anni e alle successive elezioni gli italiani potranno
capovolgere le maggioranze.
Alcuni
diranno: finalmente si governerà perché
il Governo presenterà disegni di legge (e decreti leggi) che saranno approvati
in tempi stretti e senza via vai da una Camera all’altra.
Stabilire modalità che semplifichino,
che rendano più efficiente il lavoro legislativo e che consentano tempi rapidi di approvazione
non è necessario. E’ doveroso. Il
punto della questione è però come
conciliare diritti delle minoranze con il dovere di un esecutivo di
governare.
Nell’epoca del bicameralismo perfetto
che allunga i tempi di approvazione e spesso preclude l’emanazione di alcuni
disegni di legge, ci sono provvedimenti che
sono stati approvati rapidamente. Ma, va detto, anche se i fautori del “NO” si dimenticano di dirlo: violando la
Costituzione.
L’articolo
77 dell’attuale Costituzione prevede che il Governo possa adottare
provvedimenti provvisori con forza di legge in casi straordinari di necessità d'urgenza.
Il governo Renzi e quelli che lo hanno preceduto (Letta, Monti, Berlusconi)
hanno spesso abusato del decreto legge per far approvare provvedimenti che non
sempre avevano carattere di urgenza o straordinaria necessità.
Con
la riforma, l’articolo 77 rimane in vigore con l’opportuna modifica nel testo
che prevede che il decreto debba avere “un contenuto omogeneo e corrispondente
al titolo” e che “nell’esame di disegni di legge di conversione dei decreti non
possono essere approvate disposizioni estranee all’oggeto e alle finalità del
decreto (commi 5 e 7)”. Posta questa opportuna modifica, nulla vieta al governo
di continuare sulla strada di violazione della Costituzione presentando decreti
che non rientrano in casi straordinari di necessità e urgenza a meno che i
Presidenti della Repubblica non si decidano a far rispettare la Costituzione.
Se
si può essere d’accordo sul mantenere la decretazione d’urgenza, chi verifica
che il Governo non debordi? Un Presidente della Repubblica che potrebbe essere
eletto con i soli voti di quella stessa maggioranza che vota la fiducia al
Presidente del Consiglio? C’è un organo che rapidamente controlla che il
decreto corrisponda al criterio di omogeneità stabilito? No.
Elezione del Presidente della
Repubblica. L’articolo 83 modifica le maggioranze per
l’elezione inserendo un settimo scrutinio nel quale per eleggere il Presidente
è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. Dei votanti, non dei
componenti.
Capisco
che la maggioranza degli italiani possa non essere coinvolto dalla semantica
illustrata dal costituzionalista Zagrebelsky in merito alla parola
“componente”, ma “votante” e
“componente” hanno due significati e soprattutto, due effetti ben diversi.
Alla settima votazione i tre quinti dei
presenti che, quindi, potranno
votare, eleggeranno il Presidente della Repubblica. Se invece parliamo di
“componenti”, questi sono 630, cioè tutti i deputati. Come si evince, la
semantica fa la differenza e la matematica ne consegue. E la democrazia
anche………
Le
competenze dello Stato centrale e quelle delle Regioni –
E’ l’art.117 a riassegnare allo Stato centrale attribuzioni che erano state
decentrate agli Enti Territoriali. L’articolo elenca in maniera dettagliata le
materie di competenza statale ma la formulazione è tale che non si risolverà il
problema del contenzioso tra Stato e Regioni in merito a dove inizino e
finiscano le competenze dell’uno e degli altri.
In che consistono concretamente, come sono
applicate allo Stato le “disposizioni generali e comuni per la tutela della
salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”, e in merito
all’istruzione: “disposizioni generali e comuni sull’istruzione, ordinamento
scolastico, istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica
e tecnologica, disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione
professionale”. E in che consistono le competenze delle Regioni cui spettano:
“dotazione infrastrutturale, di programmazione e organizzazione dei servizi
sanitari e sociali, di promozione dello sviluppo economico locale e
organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della formazione
professionale; salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di
servizi scolastici, di promozione del diritto allo studio, anche universitario”.
Posta l’opportunità di assegnare allo Stato
indirizzi generali, linee guida e su alcune materie provvedimenti specifici, le
Regioni hanno comunque un bilancio da rispettare e riducendo le loro
competenze, ammesso e non concesso che siano chiari gli ambiti e che non vi sia
un proliferare di conteziosi – cosa probabile dato il testo dell’articolo 117 –
diventerà più complesso gestire un bilancio garantendo servizi prioritari ed
efficienti.
Per far sì che una siringa costi alla
stessa maniera ad un ospedale in Lombardia e in Calabria era necessario
modificare l’articolo 117 in questo modo?. Non sarà che le siringhe
continueranno ad avere costi diversi e in più si aggiungeranno i costi
dell’inefficienza, del blocco derivante da contenziosi che in parte saranno
pretestuosi a in altri casi motivati.
E se ancor non bastasse c’è il comma che
stabilisce che “su proposta del Governo, lo Stato può intervenire in materie non
riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità
giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Su proposta del Governo? La tutela
dell’unità giuridica o economica ovvero la tutela dell’interesse nazionale sono
assegnati al Governo e non al Parlamento. Ah…già…che differenza fa. La
maggioranza della Camera sarà quella che sorregge il Governo, il Senato ha un
ruolo farsa. Tutto passa e rimane al Governo….E chi ci assicura che il Governo
intervenga in modo oggettivo e funzionale. Chi controlla che il Governo non
debordi nei confronti delle Regioni?
E
poi c’è la legge elettorale: l’Italicum…ma per questo rimando al post
successivo che riepiloga i punti essenziali della riforma e alla conclusione
che mi porta ad esprimere un voto.
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