mercoledì 22 dicembre 2021

È Stato Draghi

 


da: https://www.tag43.it/ - di Marco Zini  

Sulla carta è uno dei governi più liberisti. Nella realtà intervenendo in molte delle più importanti partite industriali del Paese (e si prepara a farlo anche in Tim e Fincantieri) sta allargando attraverso Cdp la presenza della mano pubblica nell’economia.

E pensare che con l’arrivo del nuovo governo, all’inizio del 2021, i turbo liberisti avevano stappato champagne perché sapevano come la pensavano Mario Draghi, i suoi ministri e soprattutto il suo super consulente economico Francesco Giavazzi: lo Stato deve essere solo un regolatore e non deve entrare direttamente nel capitale delle imprese. Quindi vade retro a qualsiasi tentazione di uno Stato padrone. Anzi, di più. Per Giavazzi lo «Stato imprenditore è una delle idee più pericolose in circolazione, bisogna lasciar fare alle imprese». Dello stesso tenore anche le affermazioni dell’attuale Presidente del Consiglio: «Il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione», spendere si può per «ricerca e sviluppo, istruzione, formazione, regolamentazione, incentivazione e tassazione». Ma dallo scorso febbraio a oggi qualcosa deve essere accaduto, perché molte delle decisioni che il governo ha preso in materia risultano tutte contromano rispetto a quanto dichiarato e scritto solo alcuni mesi fa. Insomma, i liberisti sono diventati ferventi statalisti. E il tanto idolatrato Milton Friedman ha lasciato il posto a Keynes.

Il pasticcio di Tim e il progetto di mega società della rete

Con l’annuncio di Opa da parte del fondo americano Kkr, i principali soci di Tim sono andati in

confusione. Da una parte ci sono i francesi di Vivendi (azionisti di riferimento al 24,9 per cento) che hanno deciso di correre ai ripari e per rispondere al progetto di Kkr ora sono disponibili in primis a dividere le attività commerciali (ServiceCo) da quella della rete (NetCo). Poi a fondere quest’ultima con Open Fiber e a far sì che Tim sia in minoranza nella nuova mega società della rete unica (con lo Stato in maggioranza attraverso la Cassa Depositi e Prestiti e forse Poste Italiane, per altro finora solo citata come attore possibile ma ancora non interpellata). Dall’altra parte c’è sempre Cdp, con il suo presidente Giovanni Gorno Tempini presente nel consiglio di amministrazione dell’ex monopolista dei telefoni in rappresentanza del 9,8 per cento posseduto da Cassa. Il quale, nell’ultimo cda, ha proposto una delibera per permettere agli americani di avere accesso alla data room. La proposta è stata però bocciata sia dai consiglieri indipendenti sia da quelli di Vivendi, che così facendo hanno respinto la volontà di interventismo nella partita da parte del governo attraverso il timido Gorno Tempini.

Il laborioso e accidentato processo della società del Cloud nazionale

Anche nello sviluppare il piano della nuova società del cloud, il cosiddetto Polo Strategico Nazionale, il governo si sta comportando da vero imprenditore. Il progetto, in mano al ministro della transizione digitale Vittorio Colao, di dotare la Pubblica amministrazione di un sistema digitale in grado di ospitare in sicurezza i suoi dati e i servizi strategici, sembra avviato con la pubblicazione del bando di gara a fine gennaio 2022. Facile dunque che si arriverà a scegliere il vincitore entro la fine del prossimo anno. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza mette a disposizione ben 1,9 miliardi di euro per la creazione del Polo Strategico Nazionale. Le società per ora interessate a presentare un’offerta sono tre newco: la prima a maggioranza pubblica – formata da Cdp, Leonardo, Sogei e Tim – quella tra Aruba e Almaviva, e infine quella tra Fastweb e Engineering. Fin qui il governo è sembrato intervenire solo per fissare delle modalità di assegnazione, procedimento tipico di uno Stato liberista: decido le regole e lascio che il mercato faccia il resto con una gara trasparente tra imprese tra loro concorrenti.

L’esposto in Procura e le presunte pressioni sul Poligrafico

Ma a oggi non tutto sembra essere così lineare. Infatti sul Cloud di Stato ora sta indagando la Procura di Roma. Ci sarebbero state infatti presunte manovre o pressioni per la realizzazione del Polo Strategico Nazionale. In Procura è stato depositato un esposto del deputato ex M5s e membro della commissione Bilancio, Raphael Raduzzi. La denuncia cita un articolo del Fatto quotidiano del 16 settembre in cui si dava conto di pressioni informali arrivate dal Tesoro in direzione del Poligrafico dello Stato, controllato dal ministero, che inizialmente doveva partecipare al bando per il Psn in cordata con Fastweb. A corredo della denuncia ci sarebbero alcuni screenshot di una chat telefonica tra un manager e un altro interlocutore in cui si parla di una chiamata ricevuta con la chiara finalità di «bloccare la partecipazione della società pubblica al bando». Ma non finisce qui: a metà novembre il sito Tpi dà notizia, subito smentita dal mistero dell’Innovazione tecnologica e della Transizione digitale, che tra il ministero e una delle cordate concorrenti, l’unica a maggioranza pubblica, ci sia stata condivisione non del bando di gara, ma già di una bozza della concessione (di cui il sito di news afferma di avere copia) «per l’affidamento dei servizi infrastrutturali e applicativi in cloud per la gestione di dati sensibili Polo Strategico Nazionale».

Cdp con Fincantieri per l’acquisto di Oto Melara e Wass

Sembrava una partita aperta al mercato quella della vendita di Oto Melara e Wass (le due società specializzate in sistemi di difesa controllate da Leonardo) al miglior offerente, anche se Fincantieri, interessata all’operazione, non fosse riuscita a strapparle al consorzio franco-tedesco KMW+Nexter Defence Systems. Invece non sarà così perché Palazzo Chigi ha schierato Cdp al fianco del colosso della cantieristica. Le indiscrezioni parlano di un possibile aumento di capitale di Fincantieri sottoscritto da Cdp che consentirà così al gruppo triestino di battere l’offerta da 650 milioni di euro presentata dai franco-tedeschi. L’italianità è dunque salva grazie a una partita di giro tra due aziende già pubbliche, Leonardo e Fincantieri, con Cdp a fare da sensale.

La grandi manovre intorno alla fusione tra Sia e Nexi

Dal primo gennaio 2022 Sia, la società posseduta da Cdp Equity, sarà incorporata in Nexi, andando così a costituire una delle più grandi aziende europee attive nel business dei pagamenti e trasferimenti di denaro, quotata alla Borsa di Milano con una capitalizzazione di circa 15 miliardi di euro. La nuova Nexi sarà posseduta per oltre il 35 per cento dai fondi stranieri – Bain, Advent, Hellman & Friedman -, da Cdp Equity per circa il 13 per cento, da un 4 per cento circa di Intesa San Paolo e da un 3 per cento da Poste Italiane; il resto sarà in mano a investitori istituzionali, come il fondo sovrano di Singapore GIC, e a piccoli azionisti. Nei mesi successivi, con finestre temporali già decise, i tre principali azionisti esteri dovrebbero scendere a una quota minore rispetto a quella posseduta nell’insieme dalla compagine italiana, con Cdp che dovrebbe rimanere primo socio di maggioranza relativa con un 13 per cento, con l’opzione a incrementarlo fino al 16-17 per cento poiché ha già accordi di prelazione per acquistare le azioni di Poste Italiane. Il 16 dicembre Cassa Depositi e Prestiti, o meglio il ministero dell’Economia guidato da Daniele Franco, ha comunicato al mercato quali saranno dal primo gennaio i componenti del nuovo consiglio di amministrazione di Nexi espressione dell’azionista di Stato.

Un consiglio  d’amministrazione fatto tutto da burocrati e uomini Cdp

La sorpresa è che tutti i prescelti sono nuovi rispetto ai precedenti componenti; e tutti sono espressione dello Stato padrone senza la presenza di alcun indipendente tra le nomine, come ci si sarebbe aspettato da un governo che, almeno a parole, ha sempre rivendicato la sua volontà di essere attore terzo rispetto alle scelte delle imprese. La scelta fatta da Cdp e dal ministro è stata quella di nominare tutti burocrati insieme a manager e consulenti di dell’ente di via Goito. E soprattutto nessuno esperto del settore bancario e di quello più specifico dei pagamenti. Gli esclusi sono Massimo Sarmi, che era stato nominato in quota Lega, già amministratore delegato di Poste Italiane e di Bancoposta. Andrea Cardamone, ex ceo e fondatore della banca Widiba, in quota 5 stelle. Andrea Pellegrini, ex banchiere d’affari e consulente di fiducia di Fabrizio Palermo (ex amministratore delegato di Cdp). Carmine Viola, docente di Economia all’università del Salento, su indicazione del Pd. Federico Lovadina, presidente di Sia, in quota renziana, socio di studio del fratello della deputata Maria Elena Boschi. Paolo Calcagnini, manager di Cdp. I nuovi nominati sono: Maurizio Cereda (oggi consulente in Cdp e prossimo plenipotenziario delle attività nell’equity al posto di Pierpaolo Di Stefano). Francesco Pettenati (in prestito dalla Bei e oggi in Cdp), entrambi uomini fidati di Dario Scannapieco, ceo di Cassa Depositi e Prestiti. Poi due manager di Stato come Marinella Soldi, presidente della Rai che ha come azionista il ministero del Tesoro, e Marina Natale, ad di Amco, la società pubblica per la gestione dei crediti deteriorati. Insomma: fuori gli indicati dai partiti eletti e dentro quelli del nuovo partito al governo, quello di Draghi.

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