da: Il Fatto Quotidiano – di Gianluca Roselli
Quando arrivò alla sovrintendenza del Teatro dell’Opera di Roma, nel dicembre del 2013, qualcuno lo soprannominò “Edward Mani di Forbice”. Il personaggio del film di Tim Burton si adattava perfettamente a questo manager arrivato per salvare il Teatro tagliando. Lacrime e sangue.
Parliamo di Carlo Fuortes, che Mario Draghi indicherà ufficialmente domani come amministratore delegato della Rai. All’epoca il Teatro dell’Opera era squassato dalle polemiche e sull’orlo del fallimento: conti a picco, scioperi a raffica, Riccardo Muti che se ne va sbattendo la porta. “Quando sono arrivato c’era una situazione peggio di Alitalia”, dirà Fuortes. Ebbene, lui che fa? Decide di licenziare orchestra e coro, un totale di 182 persone, col benestare dell’allora sindaco di Roma, Ignazio Marino. Poi, tra prepensionamenti, qualche buonuscita e una serrata trattativa sindacale, nessuno venne lasciato a casa. Quello, però, fu il suo biglietto da visita.
Ecco, forse è questo a spaventare ora i dipendenti di Viale Mazzini. Fuortes arriva per tagliare? Certamente viene per risanare i conti in stato comatoso (523,7 milioni di posizione netta negativa nel 2020) e per rilanciare l’azienda dopo un lungo periodo di stagnazione, ma il rilancio potrebbe passare anche per tagli (si parla addirittura di vendita di una rete…).
Dunque Draghi ha piazzato il suo uomo, che molti descrivono come uno dei pochi manager culturali italiani con una caratura anche internazionale. Ma con risultati altalenanti. Al Petruzzelli di Bari, dove fu commissario, lasciò un debito di circa 2 milioni, mentre a Roma l’impresa di salvare il Teatro dell’Opera gli è riuscita, ma sempre con lo spettro dei licenziamenti: conti quasi risanati e biglietti raddoppiati. Fuortes non è certo il santino che si vuole dipingere, come ben sanno alla Cgil, con cui ha guerreggiato spesso.
Ben inserito nel sistema politico capitolino, la sua prima bollinatura arriva da Walter Veltroni, che, nel 2003, gli affida la guida del Palazzo delle Esposizioni, delle Scuderie del Quirinale e, più avanti, di Auditorium e Festa del Cinema. Gianni Alemanno lo lascia al suo posto, mentre Marino lo promosse al Teatro dell’Opera.
Il suo maggior sponsor negli ultimi anni è stato Dario Franceschini, insieme al suo uomo più in vista, il direttore generale del Mibact, Salvo Nastasi. Marito di Giulia Minoli, dunque genero di Giovanni Minoli e Matilde Bernabei, è Nastasi a portarlo in palmo di mano. Nel tempo Fuortes ha instaurato un sodalizio pure con Goffredo Bettini. Il suo nome, di recente, è rimbalzato per la candidatura a sindaco, proposto da Carlo Calenda: “Se c’è Fuortes, facciamo tutti un passo indietro”.
A
ripescarlo ci ha pensato Mister Bce. “È un tagliatore di teste, quando passa
nemmeno saluta”, lo descriveva nel 2014 un sindacalista. E nei suoi anni all’Opera
di Roma c’è una storiella che dice molto di lui. Orchestrali e coro chiedevano
un’indennità di frac, perché l’abito con le code provoca sudore e irritazioni: volevano
più soldi. Dopo un braccio di ferro che manco la Thatcher coi minatori inglesi
nel 1984, vinse lui: niente indennità. Del suo cartellone, 5 anni fa, si
ricorda La Traviata con la regia di Sofia Coppola e i costumi di Valentino, mentre
nel 2020 durante il lockdown s’inventa opere-film da mandare in tv, come Il
barbiere di Siviglia diretto da Mario Martone. La stagione estiva 2021 non è a
Caracalla ma al Circo Massimo. Dove gli antichi romani gareggiavano con le quadrighe
tentando di disarcionarsi a vicenda. Più o meno il clima che lo attende in Rai.
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