mercoledì 7 dicembre 2022

I Cinque stelle rischiano di sparire all’improvviso come l’Italia dei valori

 


da: Domani – di Piero Ignazi

Per alcuni anni, nel primo decennio di questo secolo, ebbe particolare  risalto  un partito poi  scomparso, l’Italia dei Valori (IdV), guidato da uno dei protagonisti dell’inchiesta  milanese  di  Mani pulite, Antonio Di Pietro. L’Idv si presentò  alle  urne  per  la  prima volta  nel  2001  sfiorando  il  4  per cento, risultato che confermò nel 2008 quando si presentò, nella sorpresa generale, insieme al Pd veltroniano;  e,  infine,  toccò  il  tetto delle sue fortune alle Europee del 2009 con l’8 per cento dei voti.

I successi di quegli anni, corroborati da alcuni exploit nelle elezioni amministrative (Leoluca Orlando a Palermo e Luigi de Magistris a Napoli)  proiettarono  il  partito nell’empireo dei partiti rilevanti. Il suo antiberlusconismo a tutto tondo e le filippiche contro la corruzione,  condite  da  un  linguaggio ruvido e senza sconti, creavano un certo disagio nel Pd perché risuonavano con i sentimenti di buona parte della sua base. E i commenti dell’epoca enfatizzavano l’affanno dei democratici di fronte alla tambureggiante polemica dipietrista. Poi l’Idv si avvitò in una politica di opposizione a testa bassa contro il governo Monti rompendo ogni legame, già sfilacciato  peraltro,  con  il  Pd  e  infine crollò in un battibaleno quando vennero lanciate accuse (poi rivelatesi infondate) sulla  malversazione di fondi pubblici e arricchimenti personali di Di Pietro.

L’alternativa

In realtà l’Idv si inabissò perché, oltre a quelle accuse e ai conflitti interni derivati, era sorto un concorrente ben più appealing che si muoveva, anche ma non solo, sulla lunghezza d’onda dell’anticorruzione e dell’opposizione populista e antipolitica: il Movimento 5 stelle.

La parabola dell’Idv fornisce una cartina  di  tornasole  per  individuare  eventuali  sviluppi  futuri dei pentastellati. Alcune  somiglianze colpiscono: dalla figura simil-carismatica dei fondatori alla  passione  per l’informatica (Di Pietro  fu  un  precursore  dell’uso dei computer nella procura di Milano e impostò parte della comunicazione dell’Idv  attraverso  la realtà virtuale  second  life),  dalla foga  anti  corruzione  alla  critica indifferenziata e nebulosa verso il sistema.

Altri aspetti approfondiscono invece le differenze. In primis l’elaborazione teorico-politica sia dell’impianto ecologista  del  primo Grillo delle Cinque stelle, sia del  funzionamento  della  democrazia, imperniato sulle virtù taumaturgiche  della  rete,  elemento centrale  per  una  democratizzazione  della  vita  politica  tanto all’interno del   partito   quanto all’esterno, nel sistema politico. Poi   quel   mix   di   decisionismo top-down  della  leadership unito all’assoluta autonomia dei meet-up e degli eletti locali, e la lunga fase di alterità assoluta al sistema dei partiti rifiutando ogni alleanza,  fino  al  2018.  Infine il M5s, oltre ad aver ottenuto imparagonabili  successi  elettorali,  è riuscito  a  istituzionalizzarsi  al punto da superare la scomparsa, fisica e politica, dei due fondatori.

Cambiamenti

I Cinque stelle di fine  2022 sono comunque molto diversi da quelli emersi all’inizio della scorsa legislatura. Il trionfo elettorale del 2018 è stato intaccato dalla volubilità delle scelte politiche e delle alleanze,  e  dal  percorso  tortuoso nella successione alla leadership. Le dimissioni di Luigi Di Maio dal ruolo di capo politico, nel gennaio del 2020, hanno avviato un lungo e tormentato processo di ridefinizione dell’organizzazione interna  approdata inevitabilmente) nelle mani di Giuseppe Conte, nonostante   l’iniziale   scomunica, poi rientrata, di Beppe Grillo.

Queste convulsioni interne si sono associate, con un effetto di causa-effetto  di  difficile  individuazione, a una linea politica sussultoria,  dall’alleanza con la Lega a quella con il Pd, per approdare al sofferto sostegno al governo Draghi (causa di una corposa scissione) e infine alla rottura dell’estate scorsa.

Senza identità

La questione è se il M5s, dopo tutte queste altalene politiche, abbia ancora un futuro  o  possa  essere preda di un collasso  improvviso come nel caso dell’Idv. Il  recupero  elettorale  e  nei  sondaggi può essere ingannevole perché si deve ad un appannamento del Pd, additato da tutti – e pure da sé stesso – come il grande perdente. Ma il partito  democratico ha spalle larghe e solide tradizioni ideologiche e politiche, qualunque sia quella scelta al congresso. Il  M5s  vive  invece  alla  giornata.  Ha innalzato la bandiera dell’opposizione radicale ma non è chiara né l’ideologia di fondo – la democrazia digitale costituisce ancora il fondamento ideale del partito? – né quella originaria dell’ecologismo a Cinque stelle.

Essendo  ormai  inutilizzabile  la polemica antipolitica, il M5s contiano spinge su tematiche contingenti, come la difesa  del reddito di cittadinanza o i distinguo sul conflitto ucraino, senza però avere una prospettiva di lungo periodo. In sostanza, anche la spinta propulsiva  dei  pentastellati  sembra in via di esaurimento. I buoni sondaggi del momento sono destinati a volatilizzarsi in mancanza di una elaborazione cultural-politica adeguata. E a maggior ragione se il Pd, chiusa la fase congressuale,  riprende  in  mano  la  fiaccola dell’opposizione. In questo scenario al M5s basta una buccia di banana  per  scivolare  precipitosamente nei consensi. La definizione di una propria, chiara, identità non riguarda solo il Partito democratico.

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