venerdì 8 maggio 2020

Gian Antonio Stella: Gli onesti, i furbi e le autocertificazioni



«Per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno». L’antico adagio affisso come monito in larga parte dei bar e dei caffè italiani riassume uno dei temi centrali di queste settimane: mai come oggi i cittadini vorrebbero usare il più possibile l’autocertificazione per sgusciare tra i reticoli della cattiva burocrazia e avere nei tempi più brevi i soldi loro destinati e mai come oggi sono in tanti a chiedersi: possiamo fidarci fino in fondo?

Finora no, sul tema non abbiamo avuto molti buoni esempi. Quasi 5 miliardi in euro attuali sono costate all’Italia le multe per le quote latte dovute, secondo l’ultima sentenza della primavera 2019 a «dati non veritieri fondati su autodichiarazioni spesso false». Altri cinque sono stati rubati in un solo quinquennio all’Italia e alla Ue dalla «Mafia dei pascoli» dove, spiega l’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci sfuggito a un attentato dopo aver denunciato la mega truffa, «tutto ruotava intorno alle autocertificazioni false, in Sicilia come in Calabria».

Per dirla con l’avvocato Caterina Malavenda, «le autocertificazioni sono una benedizione per le persone oneste che possono scampare a pedaggi burocratici spesso insuperabili, ma una istigazione a delinquere, purtroppo, per quelli che tanto onesti non sono». «E’ così, ma proprio per questo qui occorre coniugare due esigenze», sospira il Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Greco, che insieme col collega Giovanni Melillo, procuratore a Napoli, denuncia da settimane che mentre il governo
sta attivando «una gigantesca iniezione di liquidità nel mercato delle imprese» loro avvertono «tutto il peso dell’inadeguatezza degli strumenti di controllo» col pericolo di «distorsioni applicative in grado di favorire indebite erogazioni e persino i processi di accumulazione patrimoniale tipici del crimine organizzato».

Il tema è: si possono conciliare l’assoluta necessità di distribuire al più presto quei contributi economici di cui tanti italiani hanno bisogno e insieme la non meno assoluta necessità di arginare i peggiori (probabili) assalti alla diligenza? Tutti d’accordo: meno scartoffie e più velocità possibile. Ma possiamo permettercelo in un paese come il nostro dove la semplificazione introdotta nel ‘97 partì benissimo tra l’entusiasmo di Carlo Azeglio Ciampi («Mi diceva l’altro giorno Franco Bassanini che in alcuni comuni l’emissione di certificati si è ridotta del 70%: una svolta culturale, storica») ma è stata via via infettata da una miriade di furbizie inaccettabili?

Come dimenticare le circa cinquemila matricole «sedicenti nullatenenti» all’Università della Bicocca ridotte del 90% alle prime verifiche, le 521 autodichiarazioni false contro 327 veritiere controllate a campione alla Sapienza, i 96 tassisti romani con la fedina penale auto-ripulita (serviva al rinnovo della licenza) grazie alla «magica» carta autocertificata, i 321 dipendenti comunali napoletani denunciati perché si erano gonfiati lo stipendio autocertificando di avere a carico una massa di nonne, suoceri, zie, cugini e consuocere? O ancora le decine di migliaia di falsi braccianti e falsi disabili e falsi poveri che hanno rubato somme immense ai veri braccianti, i veri disabili, i veri poveri?

Il fatto è che a dispetto di oltre vent’anni di imbrogli di ogni genere, i reati connessi alle autocertificazioni false (anche quando sono vergognose) sono puniti con pene, diciamo così, non molto severe: dalla ramanzina a un massimo di due anni con la sospensione della pena, arresto non consentito, fermo non consentito, carcerazione non consentita... Per rischiare davvero il carcere chi dichiara il falso deve farla grossa, impossessandosi ad esempio di pubblico denaro, italiano o europeo, con la truffa aggravata. Se no, ciao.

«Mettiamola così», accusa il procuratore Greco, «Tutte le norme si fanno normalmente col bastone e la carota. Il vizio italiano è non metterci mai il bastone. E se il furbo sa che non rischia niente è un guaio...» Urge un bastone, si capisce, severo ma proporzionato al reato, alle circostanze, alle persone, ai tempi. Che non terrorizzi quanti sono perbene ma scoraggi finalmente quanti pensano di potersela cavare sempre. Una carota e un bastone che sappiano distinguere.

Quindi? Ne stanno discutendo governo, parlamento, partiti, magistrati. «Fate presto!», chiedono i cittadini. Il buon senso suggerisce una via di mezzo. Massima fiducia nel senso di responsabilità delle persone, con il controllo vero, però, appena possibile, di quelle auto-certificazioni prese oggi per buone. Massima attenzione nel non lasciare porte aperte a quanti probabilmente stanno già cercando di sfruttare la situazione come sfruttarono il terremoto in Irpinia, quello all’Aquila, le inondazioni e gli altri disastri più o meno «naturali».

Propongono ad esempio i due procuratori di Napoli e Milano, per non correre il rischio che i soldi per arrivino «fra una decina d’anni», di alleggerire il più possibile le verifiche preventive sugli aiuti fino ai 25.000 («Tanto vale che siano dati subito, dato che parliamo di 4 o 5 miliardi sui 400 annunciati, come fossero una sorta di aiuto di cittadinanza: un’autocertificazione ben fatta, seria, in cui uno dichiara diverse cose, senza dover fornire un pacco di allegati che di questi tempi rischierebbero di essere solo carta...», dice Greco) con un inasprimento delle sanzioni che permetta di affrontare con strumenti più sicuri il bersaglio grosso: i grandi affari a volte legati a mondi ambigui se non addirittura alla criminalità.

Punto primo: dato che questi soldi vengono dati a chi ha subìto danni dall’emergenza Coronavirus, siano vincolati a questo. «Se porti soldi all’estero o li usi per cose che non c’entrano con l’emergenza Covid-19, violi il patto con lo Stato». Difficile non essere d’accordo. La domanda è: accetterà, la politica, questi consigli? O li leggerà come una nuova intromissione dei giudici in temi che spettano alla politica respingendoli ai mittenti?

Né mancheranno strascichi polemici, tra il mondo della grande impresa e la magistratura su un altro punto sul quale procuratore di Milano non fa mistero delle sue opinioni: «Francamente non capisco perché se vai a mettere la holding in Olanda i soldi non li vai poi a chiedere in Olanda. È una cosa che stride col senso comune». Tema spinosissimo... «Sì, ma una delle poche cose buone di questi tempi di coronavirus è che i temi spinosissimi vengono tirati fuori e messi in chiaro: tu da che parte stai?».

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