giovedì 21 febbraio 2019

Decreto Dignità: boom di contratti a tempo indeterminato



Il decreto dignità di Di Maio funziona (per il momento): boom di contratti a tempo indeterminato
di Giuliano Balestreri

L’economia crolla a picco insieme ai dati su ordinativi e fatturato dell’Industria, ma il governo può issare la sua bandiera sui dati del lavoro: a novembre e dicembre – da quando cioè il decreto dignità è in pieno vigore – sono crollate le assunzioni e termine e in somministrazione, mentre sono letteralmente esplose le conversioni verso i contratti a tempo indeterminato. E’ quanto emerge dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps per l’intero 2018.

“Il tempo ci dirà se si tratta di una tantum o di un trend, ma per il momento questo era l’obiettivo del governo” dice Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt (associazione per gli studi sul diritto del lavoro fondata da Marco Biagi) che poi aggiunge: “La situazione economica lascia presagire che la domanda di lavoro si contrarrà nei prossimi mesi, ma molto dipenderà da come reagiranno le imprese. Di certo il decreto dignità ha stretto molto sulla flessibilità per i tempi determinati”. Un buon compromesso, secondo Seghezzi, sarebbe quello di togliere la causale per i contratti a termine oltre i 12 mesi mantenendo il limite a 24: “Un tempo ragionevole per capire se il lavoratore è l’azienda possono continuare il loro rapporto”.

Nel frattempo, però, il ministro del Lavoro può rivendicare i primi risultati positivi. Nel 2018,
le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine sono state 527mila contro le 299mila del 2017: sono cresciute tutto l’anno scorso, ma negli ultimi due mesi sono aumentate del 119% contro un +67% dei primi 10 mesi del 2018. Situazione ancora più accentuata per i lavori somministrati: nel 2017 le conversioni erano state 1.365, lo scorso anno sono arrivate a 9.291 di cui il 50% negli ultimi due mesi del 2018.

Insomma se l’obiettivo del decreto dignità era quello di spingere le aziende verso l’agognato contratto unico, la strada – per il momento – pare quella giusta. Seghezzi, tuttavia, mette in guardia da facili entusiasmi: “Il grosso dei numeri è dato da lavoratori che erano già in azienda, quindi le imprese hanno probabilmente valutato che fosse più conveniente investire nella loro conferma, piuttosto che nella formazione ex novo di nuovi dipendenti. Dobbiamo aspettare per capire come si muoveranno nei prossimi mesi”. Nel complesso, lo scorso anno sono stati creati 431mila nuovi posti di lavoro di cui 200mila a tempo indeterminato: nel 2017 erano stati 465mila, ma gli indeterminati erano calati di 148mila unità.

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