lunedì 5 settembre 2016

Il M5S alla “prova” Raggi: “Una dolorosa metamorfosi”



da: Corriere della Sera – di Massimo Franco

Siamo al passaggio doloroso dall’adolescenza alla maturità democratica: la metamorfosi del Movimento Cinque Stelle è cominciata.

È cominciata la metamorfosi del Movimento 5 Stelle: il passaggio doloroso dall’adolescenza alla maturità democratica. E l’impressione è che il cambiamento sia subìto, non preparato adeguatamente. L’arrivo a Roma, prima annunciato e poi annullato, di Beppe Grillo, «il garante», per tentare di risolvere il pasticcio del Campidoglio, aggiunge un’ulteriore pennellata di confusione. Dice due cose, entrambe preoccupanti. La prima è che la crisi in incubazione nella giunta di Virginia Raggi è così seria da fare aleggiare l’intervento del mitico Direttorio. La seconda è che la sindaca non appare in grado di risolvere il problema da sola perfino agli occhi di chi l’ha candidata. E questo, di fatto, proietta di nuovo l’ombra di un suo commissariamento di fatto.

Gli avversari dicono che era già tutto scritto; che la caduta dell’Amministrazione-vetrina del M5S della Capitale è alle porte; e che il movimento di Grillo è minato dalle correnti e dalle loro lotte come e più degli altri partiti. Giudizi un po’ troppo affrettati, che mescolano i desideri degli
avversari con la realtà. Forse è necessaria maggiore cautela. Puntare su un crollo rapido e fragoroso della Raggi non è solo un’illusione, ma un errore politico. Non certificherebbe affatto la sua incapacità di governare. C’è da scommettere, anzi, che offrirebbe alla dirigenza dei Cinque Stelle un grande alibi: quello del complotto dei comitati d’affari capitolini per non permetterle di governare, magari in combutta col governo nazionale.

La tesi permetterebbe di velare i contrasti interni che sembrano la principale ragione degli scricchiolii di questi giorni. E perpetuerebbe quella strategia del vittimismo che tanti voti ha portato ai seguaci di Grillo e Casaleggio. Anche perché non si può generalizzare. Roma risente di un’eredità disastrosa lasciatale dalle giunte di centrodestra e, in ultimo, di centrosinistra. E infatti nella Torino della sindaca Chiara Appendino, che è stata governata e non sgovernata, la situazione è diversa: l’esponente del M5S può tentare di amministrare con maggiori speranze di farcela. D’altronde, se cade la giunta Raggi che cosa sarebbero in grado di offrire i partiti e gli schieramenti tradizionali? Domanda senza risposta.

In realtà, per vedere cosa sa fare, o magari non sa fare il Movimento, bisogna dargli tempo. È necessario permettergli di misurare fino in fondo pregi e limiti del suo originalissimo modello di democrazia interna e di selezione della classe dirigente. E nel caso lasciare che emergano le ambiguità di una trasversalità così totale da moltiplicare i voti alle elezioni; ma anche così marcata da trasformarsi in contraddizione implosiva al momento di governare. Limitarsi a attaccarlo e liquidarlo è facile e insieme miope. Fa dimenticare che l’ affermazione di Grillo e della sua nomenklatura è il frutto della febbre del sistema e di una profonda crisi di credibilità. È questo che ha permesso al M5S di esasperare la cultura del nuovismo e di una diversità vissuta e trasmessa come superiorità morale.

Ma la democrazia rappresentativa è un’altra cosa. Certamente non ne offrono una versione encomiabile i partiti di oggi. La novità, però, è che anche quanto sta mostrando in questi giorni ai romani e agli italiani la nomenklatura Cinque Stelle non può né incoraggiare né far sperare troppo in un’alternativa: sia in termini di trasparenza che di capacità amministrativa. Grillo si è sempre vantato di avere codici culturali e un linguaggio diversi da quelli del «sistema». Per questo ha rivendicato orgogliosamente di non capire né essere capito dai mezzi di informazione. Non gli si possono dare tutti i torti. Solo che adesso i problemi di incomprensione promette di averli con interlocutori meno prevenuti e più esigenti: gli elettori che vogliono capire se il Movimento è all’altezza del grande consenso ricevuto anche nella capitale d’Italia.
Magari esisteranno anche degli oscuri centri di potere che vogliono abbattere la giunta. Ma i complotti esterni riescono quando trovano la complicità e si sommano alla fragilità e alle debolezze interne di chi viene attaccato. La «democrazia della Rete» è un grande fenomeno collettivo e suggestivo. Ma può velare la precarietà delle sue fondamenta solo finché la realtà, quella non virtuale ma dura del governo anche solo local e, presenta il conto.

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