mercoledì 17 settembre 2014

Carlo Tecce: “Palazzo Chigi, cresce il caos e Luca Lotti ne approfitta"



da: Il Fatto Quotidiano  

Ci sono questioni e carriere che si dispiegano e si spiegano anche con le camicie pulite, stirate e di solito bianche. Ai tempi di Firenze, a pochi minuti da un’apparizione pubblica, Matteo Renzi s’accorse di non avere neanche una camicia disponibile. Non passarono più di dieci minuti e Franco Bellacci, detto Franco, due mandati a Palazzo Vecchio e dipendente al Comune di Reggello, rientrò in Municipio con quattro modelli: aderente, a righe, a quadri, a tinta unica. Adesso a Bellacci, assistente e facilitatore di Renzi fu sindaco, stanno per allestire una stanza a Palazzo Chigi. E ci saranno nuove stanze per nuovi consulenti, collaboratori, esperti – inutile specificare che saranno in gran parte toscani – per ricreare l’ambiente ideale (e fiorentino) di Renzi e Luca Lotti, il sottosegretario che estirpa o innesta le trattative politiche, che combina i piani e i patti con Denis Verdini, che fa nominare Giovanni Legnini al Csm e risolve gli incastri per le società di Stato, che comanda assieme al comandante.

Lotti non è un tipo che gioca per il pareggio e, seppur la macchina di Palazzo Chigi sia poco funzionale e molto caotica, insiste per ottenerne il controllo totale. L’ex vigilessa Antonella Manzione, che gestisce l’ufficio legislativo di Palazzo Chigi con imperizie che lasciano sgomenti i tecnici del Quirinale, non
sarà abbandonata a se stessa. Lotti ha arruolato un ex collega di Manzione: Giovanni Palumbo, già dirigente della polizia locale di Firenze, ex capo di gabinetto in Provincia, promesso capo di segreteria. Ormai Mauro Bonaretti, segretario di Palazzo Chigi, è accerchiato, dotato di un potere che esercita a fatica: o scopre un’inopinata sintonia con la Mazione oppure sarà trasferito altrove. Bonaretti viene da Reggio Emilia, è uomo di Graziano Delrio, sottosegretario come Lotti, non impetuoso come Lotti. Che Delrio fosse il politico istituzionale e Lotti il Gianni Letta di Renzi s’è capito quando ha conquistato la delega al Cipe, il comitato interministeriale che gestisce miliardi di euro in appalti. Anche per interrompere brutalmente la tenzone con il Tesoro, Renzi s’affida a Lotti: il ragazzo di Empoli vuole trasformare i regolamenti Cipe e limitare la supervisione di via Venti Settembre: così potrà aprire o chiudere la borsa di Stato con più efficenza e discrezione.
Quando Renzi ha conosciuto Lotti (su suggerimento di un politico locale, Paolo Londi), consigliere comunale di Montelupo, l’attuale europarlamentare (più votata in assoluto) Simona Bonafé aveva da poco terminato, da addetto stampa, la campagna elettorale per le provinciali del rutelliano Matteo. La Bonafé (e tanti altri discepoli) hanno attraversato periodi diversi perché diversa era la simpatia del Capo, “il Lotti” no, sempre il preferito, sempre in fase di scalata, sempre più aderente al renzismo da poterne divulgare il verbo.

Quando il capo ha distribuito gli incarichi di governo e di partito, Lotti appariva ridimensionato, o quantomeno non premiato. Era soltanto tattica. Lotti a Palazzo Chigi, su carta intestata, si occupa di fondi pubblici, di sussidi ai quotidiani. Questo gli consente di vantare ottima stampa e di poter conquistare la critica stanziando 52 (preziosi) milioni di euro per gli stati di crisi dei giornaloni. E anche per questa abilità – è Lotti che incontra gli editori – non ha bisogno di un portavoce. Al Nazareno, il “biondo” o il “lampadina” – questi sono i suoi soprannomi – figura in segreteria come responsabile “organizzazione”. Quando in Sardegna fecero ritirare l’indagata Francesca Barracciu, era il momento dei democratici non garantisti, Renzi spedì Lotti ad azionare l’aspirapolvere con una doppia mossa: Francesco Pigliaru candidato e Barracciu recuperata (poi) al governo, ai Beni culturali. A Lotti non è mai piaciuto Giorgio Gori (ora i rapporti sono un po’ migliorati) e neanche il modenese Matteo Richetti, ritiratosi prontamente dalle primarie in Emilia e non tanto per l’inchiesta sui rimborsi pubblici. Inaugurata con Bonaretti in quota Delrio, la squadra di Palazzo Chigi di Renzi sarà presto più folta, più toscana, più ubbidiente a Lotti. Il sottosegretario vuole mettere ordine lì dove Renzi (rapido e confusionario), che spesso s’arrende ai suoi impulsi, ai suoi improvvisi cambi di umore, ha creato disordine. Non è assicurato il successo: è garantita la protezione. Lotti non deve spingere la burocrazia di Palazzo Chigi, che produce testi di legge a rilento o sbagliati: no, deve sorvegliare ogni angolo, ogni anfratto, inclusi quelli dove s’annidano i funzionari dei vecchi governi. A sette mesi da quel grigio scampanellio di Renzi, mentre Enrico Letta sfilava con una cinematografica espressione rancorosa, Palazzo Chigi è un cantiere. E i cantieri radunano gente, ma non è chiaro il progetto. Ci sarà la pattuglia degli economisti, il controcanto al Tesoro: Marco Fortis, Yoram Gutgeld, Roberto Perotti (deve decidere), Tommaso Nannicini, Carlotta De Franceschi e Veronica De Romanis (moglie del fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, ex Bce), Luigi Marattin (finanza locale). Riccardo Luna di Repubblica (ex Wired ) sarà “digital champion”, il rappresentante italiano in Europa per la diffusione della tecnologia. Non sarà ammodernato, o forse sì perché sarà ancora più evidente e ancora più invadente, il ruolo di Luca Lotti, la scatola nera del renzismo, che conserva i tracciati, gli errori e un vasto elenco di nemici (o ex amici).

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