E’ un festival equilibrato tra musica,
conduzione, comunicazione. Ho seguito parte dei festival degli anni precedenti “causa
Noemi”, ma mai con la costanza e attenzione che ho riservato all’edizione in
corso. E’ uno spettacolo piacevole.
Scorrevole. Merito indubbio di Luciana Littizzetto e di Fabio Fazio. Che non
piace ad alcuni per certi suoi atteggiamenti “supini” o “moderati” (critica che
anch’io a volte gli ho rivolto), che dovrebbe allargare un po’ il suo cerchio
magico, ma il suo mestiere lo sa fare.
La musica è indubbiamente centrale. Il
livello medio della canzoni è superiore agli ultimi festival dal 2010 al 2012. Quanto
meno, è cresciuto numericamente. C’è un numero
elevato di canzoni (anche tra quelle eliminate dal voto) di buon livello. Se devo trovare un limite, non ci trovo due canzoni come La
Notte di Arisa e Sono solo parole
(ah..se Noemi avesse partecipato a questa edizione) ma questo festival di Fazio e Pagani ha un merito che altri non hanno
avuto. Sta nella scelta delle canzoni
brillanti, più leggere. Mentre nelle edizioni passate alcune canzoni erano
lì per far numero e per portare un po’ di brio ma, di fatto, erano perdenti in
partenza (caso mai vincenti successivamente nelle vendite) in questa edizione
ci sono due pezzi di valore: Canzone mononota di Elio e le Storie Tese, un autentico esercizio musicale. Una
genialata. E ‘Sotto casa’ di Max Gazzè. Questi due brani meritano entrambi di vincere. La
qualità in questo Sanremo 2013 è data anche dagli stili ben definiti, riconoscibili,
brillanti, di artisti come Elio e le Storie Tese e Max Gazzè.
da: Tvblog
Sanremo
2013: «Lasciate crescere l'erba» al Festival che infastidisce chi non trova
appigli per criticare
di Malaparte
Partiamo da un presupposto: al
sottoscritto, dire bene o male di un Festival o dell’altro non cambia nulla.
Non so a voi. Non mi fa piacere dir male o dir bene di qualcosa che passa in
tv: mi piace scriverne in libertà, che è diverso.
Detto ciò, il fatto è che ci sono due
sensazioni che non riesco proprio a scrollarmi di dosso, quest’anno. La prima
sensazione è che sia stato tutto organizzato nel migliore dei modi, anche a
livello comunicativo, e che la pacatezza con cui si risponde a eventuali
critiche sia un funzionalissimo ed efficace muro di gomma spalmato di melassa
per far scivolare giù le obiezioni, qualora non bastasse il rimbalzo.
E questo è un bene, a dire il vero, perché
siamo troppo abituati ad altre forme di comunicazione, in cui non si argomenta
affatto e si rimbalza, sì, ma in maniera sgradevole. Non è questo il caso.
La seconda è che ci sia una frangia di
giornalisti mainstream disperati. Perché non trovano nulla a cui appigliarsi
per criticare.
Ci hanno provato con Crozza
contestatissimo. Ma non è stato affatto contestatissimo.
Aspettavano i dati d’ascolto (quelli che a
noi interessano per dovere di cronaca, ma non per conferma di qualità), e non
sono stati soddisfatti.
Attendevano interventi dell’AgCom, ma è
venuto fuori che pezzi di avanspettacolo o commedia o satira non sono soggetti
alla par condico (ma chi l’avrebbe mai detto).
Si auguravano che il progetto delle due
canzoni fosse fallimentare, e così non è stato.
Pensavano che le scelte autoriali fossero
poco pop. Invece sono state popolari e hanno reso popolari momenti alti. Come
Stefano Bollani, che fa un ottimo ascolto (il picco è di Baudo, il vecchio
leone).
Hanno provato a soffiare sulle braci del
«festival comunista». Ma se parlare di diritti civili e integrazione e fare
monologhi contro la violenza sulle donne è «comunista» forse bisognerebbe
riflettere un po’.
Adesso possono scagliarsi in qualche modo
contro la giuria di qualità, dopo essersi scagliati contro il televoto; per
tacer di chi parla di social network senza sapere cosa siano (come potrebbero,
di grazia, influenzare gli ascolti televisivi?); di chi si addentra in discorsi
sulle percentuali numeriche come se i numeri fossero una questione esoterica (e
bravo Pagnoncelli, a dire che non è il mago Otelma); di chi nomina chi paga il
canone come se ne fossero rappresentanti; di chi, a volte, parla di tv senza
sapere cosa sia l’intrattenimento (per carità, non si offendesse nessuno: è
solo una sensazione); di chi parla, infine, per il solo gusto di sentire il
tono della propria voce (e quest’anno, la Rai non inquadra chi fa le domande.
Un dramma, per l’ego, come faceva notare Franco Bagnasco su Twitter).
Ma se dovessi scommetterci su, penso
proprio che gomma e melassa faranno il loro dovere. Come lo ha già fatto quella
che, per il sottoscritto, è stata una dimostrazione di qualità televisiva in un
carrozzone come il Festival di Sanremo dove è difficile fare bene.
Il che non farà che contribuire al fastidio
di alcuni (anche se almeno una cosa brutta, in questo Festival, c’è: la statua
di Mike. Fidatevi, è terribile).
E allora, visto che l’ultima sensazione,
quella definitiva, è che ci sia una curiosa tendenza a parlar bene o male a
seconda di chi fa le cose, e non di quello che accade o si vede, ecco che non
posso che far mio l’invito degli Almamegretta di ieri: a Sanremo, lasciate
crescere l’erba. Aiuterà a dir bene o male in libertà, senza pretesti, e ad
arrendersi quando è il caso: a volte anche dir bene è liberatorio.
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