sabato 12 novembre 2022

L’urgenza (elettorale) del governo Meloni: Tetto al contante a 5mila euro

 


da: Domani - di Giovanna Faggionato

Tetto al contante a 5mila euro: ecco l’urgenza del governo Meloni

L’esecutivo inserisce la misura nel decreto Aiuti quater, sulla carta destinato alla crisi energetica. E, beffa, la infila nella norma che incentiva i pagamenti elettronici e tracciabili.

Il primo a festeggiare è il leghista Alberto Bagnai.  Il  governo  Meloni  avrebbe dovuto  inserire  il rialzo  al  tetto  del contante nella legge di bilancio e invece lo ha fatto subito inserito come comma dell’articolo sei del decreto  Aiuti quater, cioè  il decreto tanto annunciato e tanto  atteso  perché  contenente  la  proroga delle misure per mitigare la crisi energetica  e i  rincari delle bollette.

Il forzista Giorgio Mulé solo poche settimane fa aveva dichiarato che il rialzo del tetto al contante sarebbe stato inserito in legge di  bilancio  e  che  questo  dimostrava come non fosse la priorità del governo, la priorità infatti erano le bollette.

Mulé è stato platealmente smentito. E Matteo Salvini ha cinguettato su Twitter che il decreto rappresenta «altri  passi  in  avanti, in coerenza col programma elettorale»,  elencando  come  primo passo proprio l’aumento al tetto del contante a 5mila euro.

Tra l’altro il comma è stato inserito nella norma che proroga gli incentivi sotto forma di credito di imposta  per commercianti  che si dotano di strumenti per i pagamenti elettronici, con uno stanziamento  di  80  milioni  di euro.  Un  intervento  coerente all’interno delle politiche del governo Draghi che prevedeva l’abbassamento del tetto a mille euro da gennaio e che ora suona come una beffa.

Altrettanto a sorpresa il decreto è anche stato usato per revisionare  il  Superbonus  al  110  per cento,  che  resta comunque  Super ma si riduce al 90. L’urgenza in questo caso è dovuta alla necessità di poter contare su risorse  per  la  manovra  finanziaria del 2023 e degli anni a venire, e infatti  la  norma  specifica  che tutti i risparmi andranno in un fondo da utilizzare per le prossime leggi di bilancio.

La rateizzazione garantita

In  linea  invece  con  il  governo Draghi è il provvedimento sulla rateizzazione delle bollette delle imprese con garanzia pubblica: il dispositivo a costo zero per le casse pubbliche, e quindi molto interessante per un governo come l’attuale che è alla disperata ricerca di risorse per la legge di bilancio, era stato annunciato dall’ex premier e aveva subito visto l’adesione di istituti di credito come Intesa San Paolo, ora l’esecutivo  Meloni  lo  mette  in pratica.

Le imprese potranno rateizzare le bollette per i consumi registrati  a  partire  dal  primo  ottobre scorso al 31 marzo 2023 e fatturati entro il 31 dicembre 2023 per un massimo di 48 rate mensili. La garanzia sarà offerta da Sace e le banche non potranno imporre un tasso di interesse superiore «al rendimento dei  buoni del Tesoro poliennali (Btp) di pari durata».

Viene prorogato il credito di imposta a favore delle imprese  energivore  per  l'acquisto di energia elettrica e gas naturale: si tratta di un credito al 40 per cento per le bollette e al 30 per cento per le altre attività. E anche le tariffe gas a maggiore tutela dureranno per tutto il 2024.

Il taglio delle accise

Fino a fine anno viene esteso anche il taglio delle accise su benzina, gasolio, Gpl e gas naturale e il taglio dell’aliquota  Iva  sul gas naturale al 5 per cento. Il governo ha scelto su questo di non toccare  gli  interventi  messi in campo dall’esecutivo precedente,  nonostante  l’ufficio  parlamentare  di  bilancio  avesse  avvertito  che si  poteva  valutare una rimodulazione per proteggere le classi sociali più fragili.

Lo sconto sulle accise è stato per la prima volta introdotto in primavera: il primo mese la misura era costata circa 300 milioni, poi si era arrivati progressivamente a un costo di circa 500 milioni di euro al mese. Ad  esclusione  delle  misure  per l’autotrazione che sono destinate  a  un  comparto  specifico,  lo sconto ovviamente non fa differenza tra chi può permettersi di pagare di più il carburante e chi no.

Secondo l’analisi dell’ufficio parlamentare sugli interventi del governo Draghi, il 10,4 per cento delle risorse “liberate” dalle misure generalizzate contro i rincari va a favore dei redditi più alti, che sono anche quelli che hanno un livello maggiore di consumi energetici. Del taglio dell’accisa, la fascia dei redditi più alti, il decimo decile, ne beneficia per una quota pari al 2,6 per cento, mentre i più bassi, il primo decile, appena per lo 0,4 per cento.

Lo stesso  fenomeno, dice l’Upb, riguarda anche la riduzione degli oneri di sistema su elettricità e gas  e il taglio dell’Iva  sul  gas, ma in misura minore. Fino  a  maggio  gli  interventi dell’esecutivo Draghi erano stati molto efficaci e avevano praticamente sterilizzato  l’inflazione, ma dall’estate non sono più riusciti a stare al passo coi rincari.

Per questo faceva notare l’Upb «se si riducesse di circa il 50 per cento lo  sconto  sulle  accise sui carburanti e si utilizzassero le risorse  così  liberate  per  trasferimenti  compensativi,  l’aggravio di spesa a carico del primo decile (il più povero, ndr) si ridurrebbe di 0,6, 0,9 o 1,3 punti, a seconda che la compensazione monetaria fosse erogata con modalità analoghe  al  bonus  200  euro,  al bonus 150 euro o ai nuovi bonus sociali».

Il governo Meloni per ora ha varato un importante decreto sull’indicizzazione all’inflazione degli assegni pensionistici ma sull’equità lascia molto a desiderare. Nel decreto aiuti quattro c’è  l’aumento della detassazione di straordinari e fringe benefit, cioè i benefici che le aziende possono  destinare  ai  propri dipendenti anche per far fronte ai  rincari delle  bollette, ma  ovviamente non è detto che tutte le imprese li offrano.

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