giovedì 24 novembre 2022

Con la flat tax a 85mila euro i dipendenti pagano il triplo di tasse

 

 

Questa disparità di tassazione per cui a parità di reddito i lavoratori dipendenti pagherebbero il triplo delle tasse rispetto ai lavoratori autonomi è ANTICOSTITUZIONALE.

 


da: Domani - di Giuseppe Pisauro economista

Un lavoratore dipendente con 85mila euro di reddito paga un’aliquota superiore al 47 per cento: più di tre volte quella a cui è soggetto il professionista, che non versa niente agli enti locali.

A quanto pare la flat tax (nota anche come regime forfettario) per lavoratori autonomi e  professionisti  verrà estesa ai  soggetti  con  ricavi  fino a 85mila euro.

Lo schema, attualmente limitato entro la soglia di 65 mila euro, sostituisce Irpef e relative addizionali regionale e comunale con un’imposta proporzionale  del  15  per  cento. L’adesione  comporta  inoltre l’esenzione da Iva e Irap e, solo per i lavoratori autonomi, la  possibilità  di  uno  sconto del 35 per cento dei contributi Inps.

Dalle dichiarazioni dei redditi  2019  emerge  che  circa  un milione  e  mezzo  di  contribuenti  ha  aderito  al regime con soglia fissata a 65 mila euro,  più  del  doppio  dell’anno precedente  quando  la  soglia era 30 mila euro. L’ulteriore  estensione  implicherà  che  di  fatto  rientrerà nel regime forfettario la quasi totalità dei professionisti e larga parte dei lavoratori autonomi. Viene così a realizzarsi una separazione netta tra il regime fiscale  di  lavoratori  dipendenti e pensionati, da un lato, e lavoratori autonomi e professionisti, dall’altro.

Per la sua ampiezza, si tratta, almeno tra i paesi avanzati, di un caso limite di trattamento preferenziale.

Inefficienze

Gli effetti negativi dello schema del regime forfettario sono vari  e ben  noti.  Il  regime forfettario genera inefficienze nello stesso settore del lavoro autonomo, in quanto disincentiva  l’adozione  di  forme organizzative  più complesse (meglio  lavorare  da  soli  che in uno studio associato) e l’acquisto di beni strumentali  (i costi  degli investimenti  non sono deducibili).

Più in generale è distorsivo rispetto alla scelta della forma di occupazione tra lavoro dipendente e autonomo (la quota   del   lavoro   autonomo sull’occupazione in Italia è il doppio di quella di Francia e Germania e in Europa è inferiore solo a Grecia e Romania, siamo certi che sia una buona idea farla aumentare?).

La  giustificazione,  utilizzata anche in altri casi, per cui lo schema favorisce l’emersione di base imponibile va considerata seriamente ma la dimensione dello sconto fiscale è talmente  grande  che  con  ogni probabilità il guadagno di gettito da chi emerge è largamente insufficiente  a  compensare la perdita di gettito da chi già pagava (come è stato documentato per la cedolare secca sugli affitti).

L’altra giustificazione avanzata, quella della semplificazione, è francamente risibile. Poteva ancora essere valida per il regime precedente al 2019, con una soglia di 30mila euro di  ricavi  (corrispondente  comunque  a  un  reddito  pari  a quello   medio), certamente non con la nuova soglia che ci porta  nel  5-10  per  cento  dei contribuenti più ricchi.

Ma queste sono forse considerazioni  da  economisti,  troppo astratte per persone pratiche. Comprensibile per tutti è certamente, nella sua concretezza,  la  conseguenza  sull’equità del sistema.

Pagare più del triplo

Consideriamo un professionista  con compensi nei  pressi della  nuova  soglia di  85mila euro, il suo reddito mputato sarà  ben  superiore  al  limite dell’ultimo   scaglione   Irpef, pari a 50mila euro. Un lavoratore   dipendente con quel reddito paga un’aliquota  marginale  (incluse  le addizionali)  superiore  al  47 per cento: più del triplo dell’aliquota marginale del 15 per cento cui è soggetto il professionista.

Durante la  campagna elettorale c’è stata molta discussione  sulla  tesi  secondo  cui  le proposte di flat tax avanzate a Lega e Forza Italia avrebbero violato il principio di progressività  sancito  dal  secondo comma dell’articolo 53 della Costituzione (cosa tecnicamente  non  necessariamente vera). Lo  stesso  articolo  al  primo comma afferma che «tutti sono  tenuti  a  concorrere  alle spese  pubbliche  in  ragione della loro capacità contributiva».

Federalismo malato

Davvero difficile comprendere quali elementi possano rendere la capacità contributiva di un professionista pari a meno di un terzo di quella di un lavoratore dipendente con lo stesso  reddito.  E,  per  inciso, un  bell’esempio  di  federalismo  malato  (singolare,  vista la parte da cui proviene la proposta):  perché  mai  lo stesso soggetto non dovrebbe contribuire alle spese né del suo comune né della sua regione?

Ma alla fine  forse la  motivazione è soltanto quella di favorire,  seppure   in   misura sproporzionata,  un  segmento   importante   del   proprio elettorato.

Nessun commento:

Posta un commento