giovedì 12 aprile 2018

Siria: tre domande sull'escalation di Trump



Senza una risposta Usa all'attacco di Duma la guerra probabilmente sarebbe finita con la vittoria di Assad e alleati. Dagli interrogativi sull'uso dei gas tossici alle posizioni delle potenze Nato, quali sono gli interessi in campo. 
di Barbara Ciolli

Come nel 2013 il mondo è un passo dalla guerra tra Stati Uniti e Russia e la causa è ancora un attacco chimico in Siria a Ghouta, il sobborgo di Damasco in mano ai ribelli. Allora Barack Obama temeva di essere trascinato con un pretesto in una nuova guerra sporca e per non ricadere nell'errore dell'Iraq tirò in extremis il freno a mano. Ma stavolta alla Casa Bianca c'è Donald Trump e il tycoon americano (cacciato chi lo arginava) ha appena piazzato due superfalchi come segretario di Stato e consigliere alla Sicurezza: nell'ordine, l'ex capo della Cia Mike Pompeo e l'architetto della guerra alle – finte – armi di distruzioni di massa in Iraq, John Bolton. Se Obama accettò con il Cremlino un accordo per il disarmo chimico in Siria, le probabilità che Trump agisca sono altissime.

ALLERTA AEREA. L'Agenzia europea per la sicurezza aerea (Eurocontrol) ha diramato un'allerta alle compagnie di volo sulle rotte aeree del Mediterraneo orientale per il «possibile lancio di raid aerei con missili aria-terra e/o cruise entro le prossime 72 ore». Un attacco degli Usa, con il sostegno di Francia e Regno Unito come nel 2011 in Libia, è nell'aria, Trump lo ha anche twittato minacciando Mosca.

A spingerlo alla guerra, in funzione anti-iraniana, ci sono da mesi gli alleati di ferro Israele e Arabia Saudita: la nuova strage chimica del 7 aprile scorso è la scintilla ideale. Ma quali sono le prove delle presunte responsabilità del regime siriano sull'attacco con i gas tossici, chi ha più interesse a una nuova guerra dell'Occidente nel teatro mediorientale e come si muovono le molti parti in causa?

1) Chi usa le armi chimiche?
Sulle responsabilità degli attacchi chimici in Siria è buio fitto. A partire dalla strage delle stragi: gli almeno 281 morti (ma per le fonti dei ribelli oltre 1700) dell'attacco a Ghouta il 21 agosto 2013 con missili superficie-superficie carichi di gas sarin. Gli insorti e il regime siriano si rinfacciarono a vicenda le accuse e le indagini degli esperti dell'Onu accertarono la presenza di sarin, ma senza riuscire a stabilire chi lo avesse usato: sia l'esercito di Bashar al Assad sia i gruppi ribelli, conclusero, potevano esserne entrati in possesso.

ATTACCHI CHIMICI DOPO IL DISARMO. Anche Isis, al Qaeda o altri gruppi jihadisti e islamisti hanno fatto uso bellico di agenti chimici, o attingendo ai depositi statali in Siria come nel caso del sarin o importando componenti, soprattutto dalla Turchia. Assad, viceversa, nei combattimenti ha fatto uso sistematico di bombe al fosforo sganciate con barili dagli elicotteri. Nel 2013 il regime siriano si è impegnato con l'Onu nella distruzione del suo arsenale chimico e, supervisionato dai controllori internazionali, lo ha concluso nel 2014, per quanto nel Paese si siano poi verificati diversi attacchi chimici sospetti minori.

ACCUSE RECIPROCHE. Nel Consiglio di Sicurezza Onu la Russia ha di conseguenza bocciato la risoluzione proposta dagli Usa su nuove indagini sul centinaio di morti e gli oltre 500 feriti riportati (ma ancora il numero diverge da fonte a fonte) nell'ultima strage a Ghouta, nell'area di Duma. Per Mosca un «intervento sotto mendace pretesto contro la Siria porterà a gravi ripercussioni». Da Damasco, Assad ha incolpato i ribelli e invitato di nuovo gli ispettori dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac).

2) Attacco Usa, cui prodest ?
Se le indagini degli organismi sovranazionali non sciolgono il gioco delle parti, c'è chi trae interesse e chi meno dall'escalation. Con il gruppo di ribelli jihadisti Jaish al Islam, finanziati dall'Arabia Saudita, che controllavano Duma il regime di Assad aveva raggiunto un accordo di resa: lo sgombero dei sopravvissuti verso il centro settentrionale di Jarablus, al confine con la Turchia, in cambio del rilascio di tutti i prigionieri da parte dei ribelli, era iniziato la settimana precedente all'attacco chimico. Dopo la riconquista dei territori dell'Isis e di Aleppo e Idlib, nel Nord, l'operazione avrebbe segnato la vittoria di Assad.

VITTORIA DI RUSSIA E IRAN. La guerra civile siriana sarebbe molto probabilmente finita – con un altissimo costo di vite umane – in favore del regime e degli alleati russi e iraniani. Finora a espandere dal 2011 la propria influenza militare in Medio Oriente è stata soprattutto Teheran che, nell'ultimo anno, ha aumentato le sue basi in Siria, presidiandola come il Libano attraverso le unità dei pasdaran all'estero e le milizie sciite libanesi di Hezbollah, in aiuto all'esercito siriano. Come in Iraq contro Saddam Hussein nel 2003 la guerra al regime siriano ha finito per avvantaggiare l'Iran stesso. Ai danni di Israele.

ISRAELE E SAUDITI IN ALLARME. Ora lo Stato ebraico si vede lambito ai confini dal suo principale nemico e anche l'Arabia Saudita in Yemen è in guerra con gli sciiti houthi aiutati dall'Iran, anche con missili intercettati verso Riad. Trump è pressato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu e dall'erede al trono saudita Mohammad bin Salman a muoversi militarmente contro l'Iran. Il misterioso raid del 9 aprile 2018 contro una base siriana di Homs con militari iraniani (attribuito dai russi a Israele, che Tel Aviv «non commenta» e che tutti i governo occidentali smentiscono di aver compiuto) è stata la spia dei venti di guerra.

3) Come si muovono le potenze Nato?
«Adesso Israele si sta confrontando direttamente con l'Iran in Siria», ha scritto da Tel Aviv il quotidiano Haaretz alla notizia dello strike su Homs. «L'approccio di Israele potrebbe diventare più aggressivo», ma se ad agire sono gli Stati Uniti è meglio. Trump ha annunciato una «risposta forte» e da Cipro il cacciatorpediniere Usa Donald Cook ha preso la rotta verso la Siria, carico di missili Tomahawk. Il Cremlino è pronto ad «abbatterli» e «distruggere le fonti di lancio» in caso di «aggressione alla Siria» e, via Twitter, la Casa Bianca ha rilanciato: «Tenetevi pronti, i missili stanno arrivando».

FRANCIA E UK CON TRUMP. Francia e Gran Bretagna hanno preso subito le parti di Washington. Oltralpe il presidente Emmanuel Macron, che nel weekend dell'attacco chimico cenava e discuteva a Parigi con il principe saudita Bin Salman, a telefono con l'omologo americano si è espresso per una «risposta dura della comunità internazionale». Con Trump la premier britannica Theresa May ha dichiarato di «non consentire che continui l'uso di armi chimiche in Siria». Ma, con prudenza perché su Londra pesa la macchia dell'ex premier Tony Blair sponsor della patacca delle armi di distruzione di massa irachene. Per questo May avrebbe chiesto «ulteriori prove» su Duma.

LE OPZIONI DEGLI USA. Come nell'aprile 2017 per un raid mirato dopo un altro controverso attacco chimico in Siria, dalla portaerei Usa potrebbe partire una pioggia di missili Tomahawk: stavolta contro più basi e centri di comando russo-iraniani e per la prima volta senza avvisare Mosca. Con ogni probabilità la Germania si asterrà, come in Libia, da appoggi militari, ma politicamente anche la cancelliera Angela Merkel si è schierata «senza alcun dubbio sull'evidenza dell'uso di armi chimiche». Le potenze della Nato fanno quadrato contro Mosca e la fine della guerra siriana – con la spartizione della Siria tra Russia, Iran e Turchia – è rimandata.

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