giovedì 26 gennaio 2023

Destra e ammanca: Perché il problema di Giorgia Meloni è il suo governo

 


da: https://www.tag43.it/ - di Stefano Iannaccone

Il caso Nordio con l’asse tra Berlusconi e Terzo Polo. Le uscite infelici di alcuni ministri ed esponenti di FdI. La battaglia sui balneari e il pressing di Salvini. La rottura pubblica con Rampelli. La verità è che il maggior ostacolo per Giorgia Meloni è il suo esecutivo.

Il più grande problema di Giorgia Meloni è il suo governo. Si potrebbe riassumere così la situazione sempre più tesa all’interno della maggioranza. Vista anche la latitanza di quello che era il primo partito dell’opposizione, il Pd, intento a sbrogliare i nodi dell’infinita stagione congressuale. Al momento la premier resiste, minimizza (in pubblico) le divergenze di vedute e gli agguati che arrivano dagli alleati, Forza Italia in primis. Ma che la luna di miele con l’elettorato stia finendo è più di una sensazione. A confermarlo sono i sondaggi. Secondo l’ultima rilevazione SWG per TgLa7 cala il gradimento sull’operato dell’esecutivo: dal 50 per cento del 28 ottobre è scivolato al 37 per cento del 20 gennaio, mentre la fiducia per la presidente del Consiglio resta pressoché invariata dal 43 per cento di ottobre (con punte del 45 per cento tra novembre e dicembre), al 41 per cento. Sicuramente ha pesato lo scivolone sulla vicenda delle accise. Con il governo che pare vittima di sé stesso, tra misure contestate e dichiarazioni improvvide, che tradiscono la sostanziale difficoltà a tenere unita la maggioranza. E addirittura il principale partito, il monolitico Fratelli d’Italia.

Il caso Nordio, le affinità elettive tra Forza Italia e Terzo Polo e il nodo balneari

La protesta dei benzinai non è il sintomo del malumore di una solo categoria, ma di  milioni di italiani, che alla pompa hanno dovuto fare i conti con pesanti rincari per il mancato rinnovo dello sconto sui carburanti introdotto dall’esecutivo di Mario Draghi. Quei 18 centesimi di euro in più al litro hanno pesato, eccome. E hanno segnato un punto di rottura: da allora la situazione è diventata molto tesa e le uscite dei singoli ministri hanno alimentato altre perplessità. La vicenda del Guardasigilli, Carlo Nordio, è significativa. La battaglia per limitare l’uso o abuso delle intercettazioni è iniziata nel momento meno opportuno, mentre si celebrava l’arresto del boss Matteo Messina Denaro, grazie alle indagini che ne avevano fatto massiccio ricorso. Un atto al limite dell’autolesionismo politico. Nordio ha insomma rovinato la festa per la cattura del numero uno di Cosa Nostra: uno scivolone che ha lasciato il segno mentre il Paese celebrava un risultato storico. Anche perché i suoi interventi hanno dato la sensazione di un governo già sfilacciato con un ministro applaudito, come prevedibile, da Forza Italia con Silvio Berlusconi che sul Corriere a caratteri cubitali ricordava alla socia di maggioranza: «Sosteniamo con assoluta convinzione le riforme annunciate dal ministro Nordio. La riforma della giustizia è una delle ragioni per le quali è nato questo governo». E dal Terzo Polo, dunque da un’ala dell’opposizione. Tanto che ai malpensanti è parso il segnale di un asse tra B e Renzi e Calenda. Tanto che più Fratelli d’Italia e la Lega cercano di arginare il Guardasigilli, più Azione e Italia Viva ne tessono le lodi accodandosi a Forza Italia. Resta caldo anche il fronte dei balneari. Meloni ha fatto retromarcia e invitato alla cautela per evitare lo scontro con Bruxelles e la Corte di Giustizia europea. Per questo ha chiesto a FdI di ritirare dal Milleproroghe l’emendamento dalla senatrice rampelliana Livia Mennuni sull’eliminazione del termine del 31 dicembre 2023 per la validità delle concessioni. La premier e il ministro Raffaele Fitto prendono tempo, ma Salvini pare non aver intenzione di mollare l’osso.

La battaglia dell’autonomia differenziata e gli scivoloni ministeriali

Ci sono poi delle questioni politiche che hanno sollevato perplessità nell’opinione pubblica: l’improvvisazione con cui è stata gestita la Legge di Bilancio ha consegnato un provvedimento senza misure di reale impatto sulla vita dei cittadini, limitandosi a fare manutenzione sull’economia, mentre l’inflazione impoverisce le famiglie. Senza dimenticare delle preoccupazioni del Mezzogiorno verso la riforma dell’autonomia differenziata voluta dalla Lega, con il ministro Roberto Calderoli che insiste per portarla a casa prima possibile. A questo vanno aggiunte uscite poco felici di alcuni ministri. Su tutti quello della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Dante capofila della cultura destra è stata una manna dal cielo per i meme sui social, ma non ha certo giovato all’immagine del governo. E non è passata inosservata la presa di posizione contro gli eccessi di anglicismi definita una cosa da «radical chic», espressione che unisce la lingua inglese a quella francese. Ma a spararle grosse non sono solo ministri. Pure il senatore meloniano Lucio Malan ci ha messo del suo con la sua “ironia” sul riscaldamento globale e la neve a Ragusa.

La rottura con Rampelli e la corrente dei Gabbiani

Ma Meloni non è assediata solo dalla sua maggioranza. Anche all’interno di Fratelli d’Italia non è che si respiri un’aria rilassata. Le tensioni sotterranee tra la leader e il suo mentore Fabio Rampelli sono ormai esplose pubblicamente. Dopo essere stato escluso da tutte le candidature possibili – sindaco di Roma, ministro, governatore del Lazio – si è dovuto accontentare della vicepresidenza della Camera. Ora la vicenda del commissariamento del partito a Roma ha aperto il vaso di Pandora. Il coordinatore cittadino, Massimo Milani, è stato silurato e sostituito da Giovanni Donzelli, fedelissimo della premier. Sotto accusa un evento, svolto al teatro Brancaccio, della corrente di Rampelli – i Gabbiani – che è stato presentato come un appuntamento del partito. Una mossa interpretata come una grave scorrettezza e, allo stesso tempo, una furbata per spingere i candidati sostenuti di Rampelli, Fabrizio Ghera e Marika Rotondi, a un migliore risultato elettorale, così da aumentare il peso della corrente all’interno del partito. Portando un numero maggiore di eletti nel consiglio regionale del Lazio. Lo smottamento scalfisce l’immagine di un soggetto finora apparso granitico, pronto a fare quadrato intorno alla leader.

La partita delle Regionali in Lombardia e Lazio

Il quadro insomma è quello di una premier che naviga in solitaria e di un governo in affanno addirittura prima di celebrare il traguardo dei 100 giorni. In molti giurano che quantomeno fino alle Europee del prossimo anno non ci saranno rimpasti. Ma dietro l’angolo ci sono le Regionali: «Un cattivo risultato degli alleati di governo sarà un ulteriore problema per Meloni», avverte una fonte di centrodestra. Un presagio di due vittorie, in Lombardia e nel Lazio, che rischiano di alimentare più tensioni che soddisfazioni.

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